Quella voce rimaneva un grosso mistero, soprattutto dopo aver capito di averla già sentita da qualche parte. Un po’ risentito Astolfo continuò la sua passeggiata per la luna, lasciandosi alle spalle il grande edificio di marmo che gli aveva rapito una parte del suo cuore: avesse avuto le capacità, si sarebbe dimenticato della terra, per dedicarsi alle conoscenze di tempi andati.
Se re Carlo avesse saputo delle intenzioni di Astolfo, si sarebbe attrezzato con un qualche ippogrifo per andare a prelevare il suo paladino direttamente sulla luna. Non è un caso se parte del senno del sire fosse custodita in una grossa bottiglia sulla luna. Ma re Carlo non lo sapeva, e attendeva sempre meno paziente. Aveva anche saputo di un castello parlante in cui venivano rapiti i cavalieri. Pensò che quella foresta, oltre a essere un labirinto, fosse anche maledetta: mai fidarsi di voci non riconducibili a un qualche corpo.
Sulla luna non esisteva la notte, ma Astolfo non si sentiva stanco, come se il suo corpo fosse sospeso in una dimensione diversa. Per questo decise di inerpicarsi su una montagnola, per poter avere una visione più chiara di ciò che avrebbe trovato sulla luna.
Ma quella collina non era un posto qualunque. Astolfo dovette farsi strada tra una selva di colonne, capitelli, edifici immensi di cui rimanevano solo gli scheletri. Gli ricordava un immenso torace di una carcassa trascinata dalle acque: si trattava di un animale che avrebbe potuto ingoiare l’intero palazzo del re. Alle colonne seguirono le statue, molte delle quali erano mutilate, prive di qualche arto, o della testa. Alcune sembravano vittime del semplice tempo, altre della furia umana.
Più avanzava e più le statue sbiadivano, fino a divenire spiriti muti, dagli occhi vacui che puntavano verso il nulla. Emanavano un singolare senso di venerabilità e serietà, ma allo stesso tempo di decadenza e di tristezza.
“Sono gli dei del passato, numi dimenticati che hanno perso il loro potere. Voi umani li avete defraudati di ogni grandezza. A tanto potete arrivare”. Spiegò la voce.
Astolfo si chiese se le sue mani si fossero tinte di rosso per colpa di una divinità destinata a diventare fantasma.
Mi piace proprio questo racconto 🤩
P. S. C’è qualche errore di battitura
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Grazie! Riletto e corretto, ma questi errori sono bestioline infide 😉
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