Campi Elisi – Pt. 6

È idea condivisa che i Campi Elisi siano luoghi tranquilli e felici, in cui le anime trascorrano le eternità traendo piacere da un giardino generoso, perfetto, che non conosce l’alternanza delle stagioni. Così lo avrei cantato, e così lo canterei ancora , perché di speranza di pace si nutre l’animo degli uomini. I poeti alla fine hanno questo compito: parlare al cuore, farlo riflettere e curarlo con un balsamo di parole. Ed è per questo che non è saggio credere alle parole di questi folli medici dell’anima.

“Come siamo riflessivi oggi”.

“La tua voce mi è conosciuta e mi è anche molto cara: Penelope. Noto che non ti sei riconciliata con Odisseo: è ancora laggiù che sospira come se fosse ancora sulle rive dell’isola di Circe”.

“Circe, quella fattucchiera. Ma abbiamo un’eternità per riavvicinarsi, se non erro. E sbaglio poche volte. L’ho amato, Odisseo, l’ho atteso con dedizione e pazienza, ma vedo il sangue che ha bagnato i saloni, e le urla di disperazioni dei nobili che hanno visto il corpo dei propri rampolli trafitti dalle frecce dell’ira di mio marito e di mio figlio. In altri tempi sarebbero stati chiamati assassini, non certo re e principe”.

“L’ira fa fare grandi sciocchezze”.

“La prima parola di uno dei tuoi poemi, il più sanguinoso, è ira, non penso sia un caso”.

“No, non lo è. Nulla è un caso in un poema in esametri dattilici, la metrica non lo permetterebbe”.

“Comunque erano proprio delle belle oche, e quell’aquila le ha uccise, una dopo l’altra, per poi tornarsene da dove era venuta. Un gran peccato, ho pianto a lungo. Dicono che qui, negli inferi, Caronte stesso sia rimasto colpito dalla folla di giovani che si assiepavano sulla riva dell’Acheronte”.

“La violenza è sempre un peccato. Eppure anche i miei versi ne sono intrisi”.

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