Una stanza colma di robot

Se si ripetono gli stessi concetti per un adeguato lasso di tempo, questi si imprimono a fuoco nella mente, diventano una sorta di automatismo, una convizione che sembra essere sempre stata presente tra i neuroni. Basta far passare l’idea che quel contenuto sia migliore degli altri, che quella sia la via giusta, la soluzione perfetta per diventare umani integerrimi.

Di solito il pilastro principale si chiama positivismo. Viene bandito lo sguardo pessimista, perché potrebbe portare a pensieri tormentati, per aprire la strada alla necessità di vedere sempre il lato bello delle cose. Quando questo lato manca, serve inventarlo. E la turba di topi annuisce contenta: certo, seguiremo queste regole; certo, vedremo il sole anche quando piove; certo, non ci lasceremo vincere dal pessimismo.

I meccanismi delle menti iniziano ad andare allo stesso ritmo, gli ingranaggi seguono quello principale, creano un’armonia che culla, un’armonia che porta il nome di omologazione. Disfattista, sussurrano mentre ti guardano con sospetto.

Non disfattista, ma semplice realista: non sempre si ha la forza di vedere quel dannato bicchiere mezzo pieno. Talvolta fa anche bene vederlo mezzo vuoto, per trovare altra acqua e riempirlo fino all’orlo.

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