Da solo – Giorno 1

Nemmeno so perché stia tenendo un diario. Dopotutto in questa isola, se di isola si tratta, mi ritrovo da solo. Ho nome solo per poche cose che mi circondano. In primo luogo ho il mio nome: Andrea. E poi c’è sabbia, mare a perdita occhio, alberi e uccelli non meglio definiti. Probabilmente state pensando che stia delirando. Può essere, ma tanto esistete solo nella mia immaginazione. Eppure, pensateci bene: se si conoscono le definizioni di oggetti, animali e piante, allora si hanno più chiare anche le loro proprietà. In questo momento, invece, non so se quel cespuglio produca bacca o frutti, e, se così fosse, non ho la minima idea se siano o meno commestibili. Per ora sono l’unica cavia disponibile, per cui in caso di errore sarò anche l’unica vittima. Bene per gli altri, peggio per me. Magari sono bacche allucinogene.

Ma di una cosa sono certo, mi chiamo Andrea. O Luca? O Marco? Scherzo, scherzo, il sole non mi ha fatto ancora questo effetto. Sono Andrea, e mi ritrovo in una terra da esplorare.

Vi starete chiedendo come ci sono finito in questa situazione. Bella domanda, perché non me lo ricordo. L’unica cosa che so è che mi ritrovo su questa morbida sabbia bianca, davanti a un mare turchese, ma che non sono in villeggiatura o in un viaggio di piacere, almeno così credo. Mi sono svegliato qui, al suono di qualche uccello che volteggiava sopra di me, lontano, nel cielo, magari sperando che io fossi una carcassa. E infatti, quando mi sono svegliato, ha subito cambiato posto. Anche lui non mi sopporta.

E già, perché sembra che nemmeno la mia fidanzata mi sopportasse molto. Prima di ritrovarmi qui, ero un cittadino normale, con una vita normale, e aveva appena scoperto che la mia ragazza si vedeva con un certo Alfredo, nome che, ammetto, è molto più promettente del mio, per scambiare qualcosa di più di semplici parole. Mi disse che le ero venuto a noia. Dal numero dei miei amici, temo che venga a noia a parecchia gente. Ma ne parleremo un’altra volta.

Qui sta calando la notte. Domani cercherò di trovare un punto sopraelevato per capire se questa sia effettivamente un’isola o se ci siano segni di altri umani. Almeno così fanno nei film.

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Calze sul camino – Pt. 3

Klag, Candy, Dwarf e Furt si immaginavano che la cornacchia li accompagnasse almeno al limite della palude, ma si dovettero arrangiare.

“Corvaccio del malaugurio” grugnì Dwarf. “Non è un corvo” lo corresse Klag “è una cornacchia. E non sbuffare sempre. Dopo gli Spiriti, che cosa vuoi che sia un mostriciattolo”.

Anche l’umore di Furt non era dei migliori, nonostante il suo colorito fosse migliorato. Ma si sa, mai sveglaire il folletto che dorme. “Dicono che i folletti sappiano da caramella. E Candy, il tuo nome non mi sembra adatto all’occasione. Potremmo chiamarti Indigest o Poison”.

“Io non cambio nome” protestò Candy “avanti ora. L’ovest è da quella parte, e dal puzzo sembra che le paludi non siano lontane”.

L’unica a non parlare era stranamente Klag, che continuava a pensare alle parole della Cornacchia-Vecchia. Certo, trasformare in volatile una vecchia non era un atto di pura gentilezza, ma perché il mostro aveva aspettato tutti quegli anni per ottenere soddisfazione?

Quando espresse i suoi dubbi la misero a tacere con un secco: “se vuoi, glielo chiedi prima che tuo marito stenda il Mostro con il suo alito”.

“Che ha il mio alito?” Borbottò Dwarf.

“Chiedi agli Spiriti “.

“Li ho abbattuti con la mia forza e la mia possenza”.

E tutti si misero a ridere.

Calze sul camino – Pt. 2

Con grande sollievo di Furt, il viaggio non durò molto. Le renne si erano abbuffate di dolcetti, quindi mantennero una velocità notevole, fino ad arrivare a Chissadove in quattro comode ore. Incurante del colorito verdastro di Furt, Dwarf saltellò fuori dalla slitta e iniziò a ispezionare con fare critico quel terreno così morbido e verdeggiante, alla ricerca di un angolo d’ombra. Troppa luce non fa bene agli gnomi del nord. Klag era molto più tollerante e cercava di mitigare il suo pallore grazie a quel sole sconosciuto, mentre Candy tentava di capire la direzione da prendere.

Le più contente erano le renne che, approfittando della distrazione di Furt, avevano scoperto e saccheggiato il sacco dei dolci.

“Foresti! Incursori! Ladri! Assassinni! Sicofanti! Via, fuori dal mio giardino! Fuori dalla mia proprietà. Via! Via! Via! Crack!”

Ebbene, a parlare era una voce femminile, piuttosto vecchia, ma non proveniva da un corpo umano, bensì da una cornacchia.

“Signora Cornacchia, non siamo malintenzionati. Le spiego. Ci ha invintati la Vecchia che abita qui, chiedendo il nostro aiuto. Deve sapere che noi siamo quattro compagni. In realtà ho solo un compagno lo gnomo maschio laggiù, gli altri sono folletti di…” iniziò a spiegare Klag.

“Crack. Ma parla sempre così tanto?”

“Snurf” intervenne Dwarf, poi tradotto da Candy: “A volte esagera. Ci sa dire dove possiamo trovare la dimora della Vecchia?”

“Non la troverete, Crack crack. Io sono la Vecchia, e la mia casa è quel nido lassù “.

Furt si avvicinò disperato, con in mano i dolcetti superstiti: “Stiamo scherzando? Quattro ore di viaggio per parlare con un pennuto? Una presa in giro? Lo sapevo che dovevamo continuare il nostro riposo”.

“No, crack, vi stavo aspettando. Questa è una disgrazia. Ero una vecchia io, con due gambe, due braccia tre porri, una gobba, qualche capello, due grandi orecchie, un naso sottile e lungo, millecentosettantaquattro rughe, dita con tanto di artrosi e giunture cigolanti. Ma il Mostro Mangiadolci mi ha trasformato in cornacchia, la mia capanna è diventata un nido e la scopa è stata requisita”.

Dwarf guardò accigliato la Cornacchia-Vecchia: “E che avete fatto a questo Mostro Mangiadolci? Snurf.”

“Crack, crack. Forse ho ecceduto un pochino con il carbone. Ma io devo partire domani, devo portare i dolci a tutti. E il carbone a chi se lo merita.”

“E allora sia” decise Candy senza sentire le opinioni dei suoi amici “andremo a parlare con il Mostro Mangiadolci”.

“Crack crak, ckrazie! Si trova nelle paludi a ovest. Buon lavoro”.

E così dicendo si levò in volo e si rifugiò nel suo nido, lasciando i quattro avventurieri da soli e un po’ perplessi.

Calze sul camino – Pt. 1

L’avventura nordica aveva reso Klag, Dwarf, Candy e Furt dei veri e propri eroi. La loro fama stava superando di gran lunga la loro altezza, e grazie alla riconoscenza di Babbo, che aveva amici e conoscenti in ogni dove, tutti sapevano di questa squadra formidabile. Certo, magari Babbo aveva esaltato qualche dettaglio qua e là, aveva omesso la capacità di Dwarf di atterrare il nemico semplicemente sedendogli sopra, ma i quattro stavano inconsapevolmente entrando nella leggenda.

Talmente nella leggenda che ricevettero una lettera da una rispettabile e anziana signora, residente in Città Chissadove, Via delle Streghe. Ed era una lettera d’aiuto. Dwarf stava bevendo la sua liquirizia mattutina quando la ricevette, e Klag la lesse tra gli sbuffi del merito.

“E noi, cosa ci guadagniamo?” Osservò lo gnomo guardando il fondo della tazza.

“Insomma Dwarf, non puoi sempre pensare a guadagnarci. Preparo i bagagli e vado ad avvisare Furt e Candy”.

“Snorf. Quei due combinaguai”.

Candy e Furt furono raggiunti dalla loro lettera quando ancora erano a letto. I folletti erano molto operosi, ma dopo la festività si concedevano due o tre mesi di pausa per recuperare. Era il minimo richiesto per rimettersi in forze dopo una baraonda del genere.

Quasi contemporaneamente alla lettera irruppe Klag, che li convinse a suon di parlantina senza fine e qualche scherzoso, ma doloroso, schiaffo a uscire dal letto, a far scendere dalla brande anche Babbo e a farsi dare slitta e renne per il viaggio verso Chissadove.

Le renne furono convinte con una notevole quantità di dolcetti e carote, e, anche se con un po’ di cattivo umore per il doppio turno, acconsentirono di accompagnare i quattro eroi a destinazione.

E così Klag chiaccherando con Candy, Dwarf sbuffando e Furt impegnato a tenere sotto controllo il mal di slitta si recarono dalla vecchina.