La famiglia del non detto

In questa famiglia meglio parlare per sottointesi. Tutto deve essere intuito e compreso, perché la verità può assumere uno strano aspetto se viene pronunciata a voce alta. Nel non detto si celano le ombre della probabilità e le luci della possibilità di aver frainteso.

Ma nella famiglia del non detto il dubbio crea castelli di terrore e di insicurezze, perché è meglio identificare il peggio per non trovarsi davanti a problemi inimmaginati. Si tendono le orecchie, si aguzzano gli occhi, si mettono in allarme tutti i sensi in modo da poter percepire anche il minimo cambiamento. Chi ne fa parte diventa una sorta di ragno che tesse la sua trappola pronto a percepirne ogni vibrazione.

E questa vibrazione di propaga come un’onda, e una volta raggiunta riva può anche spazzare via tutto ciò che trova, spezzare le deboli difese innalzate. Perché nel non detto trovano rifugio anche bugie e silenzi che possono creare una devastazione maggiore delle parole.

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Dubitare

Il dubbio è un tarlo che lavora senza sosta, in silenzio. All’inizio il danno non sembra grave, è quasi impercettibile, ma dopo anni l’intera struttura crolla in una nuvola di polvere. Il dubbio è forse più subdolo degli insetti: ne basta uno per distruggere famiglie intere. E in casa Bianchi il dubbio faceva da padrone.

Entrare nella dimora Bianchi era come scendere negli abissi: ci si sentiva schiacciare da una pressione invisibile, tanto che i pochi invitati che varcavano la soglia se ne stavano ingobbiti, con la testa incassata fra le spalle, come se temessero che il collo non potesse sopportare quell’oppressione. Non era un caso, quindi, che Luca, il figlio dei coniugi Bianchi, fosse scappato di casa senza lasciare più notizie. Ma anche riuscendo a rintracciare Luca, non sarebbe stato possibile comprendere il motivo di quella tensione. Luca era solo la vittima dei suoi stessi genitori.

Rodolfo era il capofamiglia, uno stimato avvocato di paese che aveva fatto fortuna in città in modi non molto chiari. Rebecca ne era la moglie, di una decina di anni più giovane. Entrambi non avevano nutrito mai amore reciproco, ma una certa tolleranza. A Rodolfo la moglie, figlia di una nobile famiglia, aveva permesso di accedere a salotti le cui porte sarebbero stati chiuse davanti al figlio di un commerciante. Rebecca era stata invece attratta più dai soldi del marito che dalle sue caratteristiche umane. Era un accordo, e, finché i termini venivano rispettati, la vita dei due procedeva in modo sereno.

Il problema nacque lo stesso giorno di Luca. Il dubbio si era insinuato tra fessure delle finestre, si era propagato in casa come un gas tossico. Il primo seme era stato gettato da Luca stesso: aveva gli occhi blu, come nessun altro in famiglia, ma uguali a quelli del pittore che viveva nella casa di fronte. Ma Rodolfo non aveva detto niente perché da tanto aveva atteso l’arrivo di un erede. Eppure il suo sguardo si era fatto di ghiaccio, le sue parole erano diventate lame e il sorriso era stato dimenticato.

Anche Rebecca cambiò, di giorno in giorno divenne più magra, più secca e cominciò a guardare di sottecchi chiunque. Rodolfo prese l’abitudine di tornare a casa sempre più tardi e con un odore diverso dal solito. Il dubbio che il marito si divertisse alle sue spalle le creava spasmi allo stomaco, le attorcigliava le viscere e le toglieva il sonno.

C’era una guerra in casa Bianchi, una guerra sotterranea, senza sangue e senza fuoco, ma che avrebbe lasciato a terra almeno una vittima.

Condominio n.132 – Pt 15

Il signor Ingegnere si diresse verso l’appartamento della Famiglia. Non aveva particolari rapporti con questi condomini, loro non lo disturbavano e lui non disturbava loro, regola base della convivenza civile. Per questo la signora Riccio rimase un po’ stupida nel trovarsi l’Ingegnere in attesa sullo zerbino. Con la scusa di dover tornare a lavoro, lo affidò al marito e con eleganza abbandonò la fortezza.

“I figli?” Si informò per educazione Ingegnere prima di passare all’attacco.

“Dai nonni. Sa, hanno un giardino, così abbiamo qualche possibilità di non cambiare di nuovo i mobili di casa” rispose il signor Riccio.

“A proposito. Ai ragazzi piace giocare a calcio?”

Il padre lo guardò con un po’ di apprensione. Già erano arrivate delle lamentele per l’esuberanza dei figli, ma non poteva certo chiudere a chiave dei bambini.

“Sì, come ogni ragazzino”.

“Perfetto, allora è fatta, siete nella truppa”.

Il signor Riccio non capì esattamente cosa fosse successo, ma sorrise e si congedò da signor Ingegnere.

Qualche gradino sopra, al signor Sotutto non stava andando così bene.