Multiforme – Pt. 8

“Annette”.

“Dimmi Uly”. Odiavo che mi chiamasse così, ma come ho già spiegato, Annette era tanto fondamentale quanto la nave per il nostro Odisseo. Senza sarei stato solo un legno alla deriva. Mi servivano informazioni, e anche velocemente.

“Che cosa sai di quel macellaio arricchito, quello zotico grande e grosso che se ne va in giro urlando?”

Annette appoggiò la testa sul mio petto, tanto che percepì il dolce sapere dei suoi capelli. A parte il nomignolo che mi aveva imposto, Annette assomigliava molto a Mary, anche nella sua fine.

“Paul, vuoi dire” esclamò con una punta di divertimento nella voce. Mi alzai un poco per guardarla negli occhi.

“Tu non conosci il nome di nessuno, ma di quel grassone sai persino il nome di battesimo?”. Si sa, alle donne piace quel pizzico di gelosia, le fa sentire desiderate e indispensabili. E in un certo senso Annette era indispensabile.

“Dà buone mance, ma non soddisfacenti come le tue. È molto disordinato, pulire al sua stanza è un incubo. Sparpaglia giornali ovunque. In effetti sembra che legga molto, ma non saprei dirti cosa. Sembrano grossi libri, pieni di scritte. Leggere mi ha sempre fatto male la testa”.

“Ma almeno i titoli, te li ricordi?”

“Forse stasera potrei dirtene qualcuno”.

“Sei un angelo”. Una frase che avevo già detto, ma allora non ci feci troppo caso.

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Nell’antro del poeta

Elena era così eccitata. Fin troppo, pensò Marco, che continuava a guardare con sospetto il luccichio negli occhi della sua fidanzata. Peccato che quell’emozione non fosse stata causata da Marco, ma da un altro uomo. Il che rendeva ancora più uggioso l’umore già contrariato di Marco. Partecipare alla presentazione di un libro era già una dura prova per Marco, che non considerava la lettura un’attività in cui perdere troppo tempo. A quanto pareva, però, quel bell’imbusto di poeta sortiva un effetto del tutto diverso sulla sua ragazza, che sembrava aver raggiunto l’Eden. Se ne stava lì a contemplare…come si chiamava quel tipo?

Arturo Verboni presenta la sua ultima fatica letteraria “L’antro del poeta”

Giusto, Verboni: Marco non poteva certo far finta di non conoscere il nome del protagonista, dal momento che grandi striscioni ricordavano continuamento all’uditorio il tema della serata. L’ego dell’autore doveva essere spropositato, pensò il ragazzo mentre sfogliava distratto il libro oggetto della presentazione. Per lo più le pagine erano bianche, con poche righe che risplendevano sulla carta di prima qualità. Perché spendere soldi per così poco? Era la domanda che tormentava Marco da quando aveva regalo quella raccolta di poesie a Elena.

“La mia poetica è tipicamente e puramente leopardiana, più che pascoliana. Metricamente parlando, prediligo il verso illimitato, che trascende la metrica stessa…”

Invidiò Elena: sembrava immersa nella parlantina di Verboni, mentre lui, Marco, non poteva fare a meno di pensare che quelle parole fossero senza senso. Non ci stava capendo nulla.

“L’Io si immerge, sprofonda nelle acque di Lete, per assurgere immanentemente alle alte vette dell’Es…”

No, decisamente quel poeta non faceva per lui. Eppure Elena non l’aveva mai guardato con gli stessi occhi con cui scrutava Arturo Verboni. Provò una fitta di gelosia.

“E per chi, fra di voi, lo desiderasse, sarei onorato a passare una leggiadra serata a sorseggiare dalla coppa di Calliope. E anche da quella di Dioniso, perché no”.

Elena si alzò senza degnare di uno sguardo Marco, e si riservò un posto per l’aperitivo poetico. Come se si fosse ricordata improvvisamente di qualcosa, trasalì e aggiunse in fretta anche il nome del fidanzato.

“Ho preso un posto per entrambi, così possiamo approfondire la conoscenza di Arturo, che dici?”

E da quando chiamava quel poeta mezzo matto per nome?

“Perfetto Elena, non vedo l’ora. Quanto pensi durerà?”

“Oh, il più possibile. Ho conosciuto Arturo a lezione di metrica: è una persona stupenda”.

Ecco perché lo conosceva per nome, lo aveva già conosciuto. Un crampo torse le viscere di Marco. E dal saluto che Verboni riservò a Elena, Marco ipotizzò che anche il bel poeta si ricordasse della sua ragazza.

“Miss Elena, che piacere vederti anche qui. Ci delizi con la tua presenza nel nostro antro del poeta? Vieni, ti ho designato un posto d’onore, mia musa”.

Musa? Musa di chi? Marco fece per seguirli, ma Verboni lo gelò con uno sguardo.

“L’antro del poeta è al completo, mi spiace”.

Verboni misi un braccio sulle spalle di Elena, e assieme entrarono nella stanza del locale riservata alle muse e ai fauni del poeta.

Marco maledisse tutta la stirpe di poeti e insegnanti di metrica.

Medea

Nipote del Sole. Perenne straniera a casa propria. Sarà la mia cadenza, il mio aspetto, la mia pelle, le mie vesti. Qui tutti mi guardano con sospetto.

Strega, incantatrice, ingannatrice. Straniera, assassina, parricida.

Parole taglienti che mi inseguono ovunque vada.

Ma ho sempre sopportato per amore di quest’uomo. Per lui tradii la mia famiglia, abbandonai la mia patria lasciandomi alle spalle una scia cruenta di sangue.

Con le mie mani l’ho fatto a pezzi. Con le mie mani l’ho gettato dalla nave. Con le mie mani rosse.

E mio padre perse figlio e figlia.

Ed ora io non basto. Cupido mi volge le spalle e vola verso quella ragazza silente.

Si è dimenticato forse dei nostri figli? Dei miei inganni? Chi sarebbe lui senza il mio aiuto?

È ora di vendetta. Le mie mani torneranno rosse. È ora che il dolore cali sul suo capo. È ora che mi riprenda ciò che gli ho donato.

Presto, portate questo manto alla giovane sposa. La sua vanità le sarà fatale.

E voi, chiamate i miei figli, che vengano da me. È ora di andare, è ora di solcare il cielo sul carro divino.

Non piangete bimbi miei. Il mondo è troppo crudele, troppo feroce perché vi meriti. Nessuna curruzione vi contaminerà mai.

Per me la rovina è già arrivata. E le mie mani sono rosse.