Superbia

Non mi giudicate, non sono sempre stato così. A causa dell’ira di un dio fin troppo umano nonob mi è permesso vedere la luce e miei piedi non possono toccare terra. Ho attraversato i cieli e la terra, e ora eccomi qui, perenne struzzo che cela la sua testa.

Un tempo lontano avevo delle ali magnifiche. Grandi, maestose, riflettevano la luce del sole,tanto erano lucide. Di color nero, rosso cupo e oro, si muovevano con disinvoltura trai cieli.

Un giorni volli scendere per vedere chi fossero quelle creature che brulicavano là sulla terra. Vidi uomini imbruttiti, che davano ordini e schiacciavano i più deboli. Vide donne avvenenti che attiravano l’attenzione di tutti,e altre che si nascondevano agli sguardi indiscreti. Vidi i bimbi che giocavano e sentii i loro gridolini di gioia.

Assaporai paesaggi mozzafiato. Montagne alte che sfidavano il cielo e che per questo venivano trivellate dal vento. Mi gettai fra le fenditure del suolo. In fine mi affacciai su un limpido specchio d’acqua e vidi un giovane stupendo. Dicono che ci sia stato persino un fanciullo che, innamorato della propria immagine, si sia tuffato in queste acque e vi abbia trovato la morte.

Io non commettei questa leggerezza,ma mi nacque il desiderio di vedere la divinità che tutto comandava. Volevo vedere, sapere, quale bellezza fosse.

Osai di più. Osai dire di essere persino meglii. Mi ribellai. E fui punito. Il mio desiderio era vedere il padre tutto, era sapere come fosse.

Lo rifarei? Potete starne certi

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Libertà

Il giorno era arrivato. Il giorno della ribellione.

L’orso ruppe la catena, spezzò la museruola, si sbarazzò delle pezze che fasciavano le zampe.

Mai dimentico della sua natura selvaggia, scomparve nei boschi. La sua casa, la sua patria la stava aspettando. I giullari, perplessi, rimasero sulla strada immobili. In mano tenevano un moncherino inutile di corda.

Una vita in gabbia, a vedere il piccolo mondo degli uomini, a mangiare carcasse. La frusta era stata la sua maestra, il collare il suo unico compagno, le grida il solo verso che conosceva. Oltre quello delle risate.

Risate crudeli che ferivano più di mille sferzate. Deridevano la sua goffaggine nel reggersi su due piedi. Ridevano della sua disperazione, del suo grugnito che non era altro se non una richiesta di pietà.

Aveva conosciuto solo quel mondo. Il tendone, gli umani che lo tenevano al guinzaglio o in gabbia mentre lo portavano da un villaggio all’altro. E lui non eta più una creatura,era solo un gioco, una curiosità, un intrattenimento circense.

Ma, a volte, quando costeggiavano il bosco, sentiva un richiamo, sentiva una forza violenta, una nostalgia mordace.

Voleva andarsene, abbandonare quel posto opprimente, quelle persone insoddisfatte e violente, che godevano del dolore altrui, sperando di trovare sempre una qualche creatura da maltrattare e schiacciare.

Voleva trovare il suo posto, la sua tana sicura, accogliente, i suoi simili che lo avrebbe rispettato.

Voleva indietro la sua dignità,

Basta colori sgargianti, vincoli, beffe, violenze.

Era ora di andare, era ora di conquistare la libertà.

Prigione

Mi avete imprigionato, costretta in questo spazio angusto. Non ho altra scelta se non rimanere qui, chiusa in questo cerchio.

Cerco altri simili miei, ma non li trovo. Cresco, mi allungo, ma questo posto è troppo piccolo. A poco a poco costruisco sotto di me un labirinto di sottili e delicati capillari, che si incrociano fra loro, si annodano, assorbono, si nutrono.

A volte ciò che mi date non mi basta. Tuttavia non posso, non riesco a fuggire. Nessuno sente i miei aiuto.

Tendo le braccia verso il cielo, là dove non ho alcun limite. Però voi subito intervenite, mi rincomponete, mi ripulite, mi mettete di nuovo in ordine. Arrivate persino a togliermi i figli che voi considerate superflui.

Mi avvolgete per tenermi al caldo, perché la vostra egoistica stupidità ha deciso di farmi vivere in un luogo che mi è esteraneo. La vostra acqua è strana, il vostro cibo sintetico. Mi negate persino la compagnia degli insetti.

E io mi ribello. Infrango le mura in cui mi avete racchiuso, cerco ogni fessura, cresco, mi innalzo. Vi sfido in silenzio per ricordarvi che c’è una forza più potente di voi.

Finché non passano gli anni, e io non mi irrigidisco. I miei fiori si fanno più radi, le mi radici più stanche. Il sole non mi scalda, la linfa non mi sazia. È inutile che mi cambiate la prigione. Questa terra per me è ormai sterile.