E quando meno te lo aspetti

Eh, niente, il gatto morto.

Che gatto?

Non lo so, so solo che il gatto è morto. Un gatto qualsiasi, di un padrone qualsiasi, di una qualsiasi parte del mondo. Il gatto è morto.

Sicura di stare bene?

Io, certo, il gatto morto un po’ meno, o forse sta bene pure lui. Il fatto è che da qualche parte un gatto è morto. Forse nell’indifferenza di tutti. Ha fatto la sua vita, ha miagolato, ha lottato, si è lustrato il pelo e ha corteggiato gattine. E poi basta, si è lasciato cadere in un angolo lontano da occhi indiscreti, e solo, senza rimpianti e senza nemmeno troppo pensarci, il gatto è morto. Inutile piangerci sopra, inutile inalberare quella faccia sconsolata. La verità è questa.

La mia faccia sconsolata è per la tua salute mentale.

Ormai quel che è fatto è fatto. Non si può riportare in vita il gatto. Non si può riavolgere il tempo. Ormai che il gatto è morto, non si può fare niente. In realtà, non si è potuto mai fare niente. Non è vero?

Messa così, certo, hai ragione.

E allora ammettiamolo: ormai che è andata così, non stiamo a pensarci troppo.

Pubblicità

Fruscio

Si sente un mormorio provenire da fuori, un sussurro. Sembra pioggia leggera, ma non c’è acqua: è solo lo scherzo del vento che si struscia tra le foglie leggere.

Nic si lascia cullare da quel rumore. Sente quella voce sommessa e le regala un corpo, verde come le fronde che scuote, trasparente come la forza che lo anima. E desidera di essere fatto della stessa materie, o forse è convinto di essere fatto allo stesso modo.

Non ha più capelli, ma stralci di nubi che vengono allungati dalla forza del vento. La pelle scompare sostituita dalla corrente gentile che modella i monti e che li rende sabbia. E i vestiti sono abbandonati su una roccia. Nic è lì, ma allo stesso tempo viaggia, veloce, tra i rami di un albero, sulla distesa arida di un deserto o forse su quel mostro multiforme dell’oceano.

Si perde e non riesce a trovare la strada per tornare. Vorrebbe urlare, ma la sua voce rieccheggia debole fra le montagne. Vorrebbe scappare, ma i piedi prendono una direzione che Nic non riesce a controllare. Vorrebbe piangere e ribellarsi, ma le lacrime non scorrono e i pugni non colpiscono nulla se non il cielo.

Presto o tardi un temporale lo ricondurrà a casa, per mano. Lo depositerà nello stesso punto in cui si trova ora, con il volto girato verso il cielo. Nic sarà scosso, cambiato e arrabbiato. Ma sarà anche più vivo.

Regole diverse

Regola d’oro che non sono mai riuscita ad applicare: non confrontarsi con gli altri.

Conosco i saggi pensieri: cercare sempre il confronto è segno di insicurezza, devi procedere per la tua strada. Grazie, ma non ne sono mai stata capace. D’altronde non siamo sistemi isolati, abbiamo interazioni con terzi, per cui il confronto nasce spontaneo.

Un po’ di giorni fa ci sono ricascata. Non so se per vanteria o se per reale esperienza, un tipo vantava la facilità con cui otteneva ottimi voti in inglese durante le superiori. I risultanti si vedono: non riesce a pronunciare una mezza frase in una lingua che non sia l’italiano. E siamo parlando di una persona che appena ne ha la possibilità di vanta dei suoi titoli accademici.

Ciò che mi ha colpito, è il fatto che a me nessuno ha mai regalato niente, né voti a scuola, né tantomeno privilegi nella vita. Ho dovuto sempre lottare, spesso con risultati insoddisfscenti. Ma posso dire che mi sono guadagnata quel poco che ho, e che ho avuto.

Eppure a vantarsi sono sempre i fanfaroni che l’hanno sfangata, mentre chi, come me, ha impiegato tempo, forza e passione passa per stolto, ottuso e sfortunato che si è tanto impegnato per ottenere un risultato minore.

Se io avessi assunto lo stesso atteggiamento del tronfio soggetto, probabilmente avrei impiegato più anni a terminare le superiori. Mi sembra, infatti, che non per tutti valgano le stesse regole.

Classics saved me

“Classics saved me” è un’espressione usata da una mia amica durante un suo discorso. Non è la prima volta che l’ho sentita usare queste parole, ma questo concetto mi ha sempre colpita, perché per me l’università di lettere classiche ha cosparso il terreno di ostacoli e di delusione. Eppure anch’io ho scelto questa strada per salvarmi, in qualche modo, da un periodo che mi stava consumando.

Effettivamente a lei questa strada ha dato diverse occasioni per essere contenta, anche se non ci sono stati momenti di sconforto. Ha conosciuto suo marito grazie a un viaggio di studio all’estero e ha deciso di continuare a studiare la materia che più le piace vicino al suo amore. Non male, anche se ha ancora qualche ostacolo da superare.

Io non ci sono riuscita, e più di una volta ho maledetto quella volta che ho scelto una laurea umanistica. Per quanta passione ci abbia messo mi sono sempre scontrata con qualche delusione: da professori che non avevano più voglia di insegnare, a materie stupende ridotte all’osso per permettere a tutti di superare l’esame, ho trovato l’università una semplificazione molto al di sotto delle mie aspettative. Ottimi voti, certo, ma zero soddisfazioni.

Uno dei miei difetti è quello di non riuscire a stare ferma. Per cui al quarto anno mi sono sentita soffocare dalla tanto decantata accademia, dai suoi meccanismi che permettono anche a chi non sa nemmeno la sintassi o a chi non ha fatto mezzo esame di filologia di laurearsi a pieni voti, magari con una tesi compilatoria. Ma un altro mio difetto è la testardaggine: ho finito la magistrale, preso la laurea, ottenuto un altro inutile diploma e cercato un angolo di pace nel mondo.

Bella idea, complimenti. Si è aperto uno psichedelico susseguirsi di tirocini, contrattini, parcellette, collaborazioni, pagati meno di nulla, forme di lavoro che dovrebbero essere vietate e non fomentate, ma gli interessi in gioco sono molti e vanno a favore di una categoria privilegiata e, di conseguenza, molto protetta.

Nel mio discorso avrei detto “Classics destroyed me”, ma non sarebbe del tutto vero. Ho imparato molto in quegli anni, soprattutto ho imparato a reinventarmi e non a fossilizzarmi su qualche periodo del basso impero o su un autore di secoli fa.

Come possono essere complessi e diversi cammini nati assieme.

Foresta

Era andato nel mezzo di una foresta, dove la luce giocava con le fronde, il vento cantava tra i rami e la terra gorgogliava sommessamente. Cercava il silenzio, ma tutto attorno risuonava l’urlo discreto della vita. Era il silenzio migliore che potesse ottenere: non il vuoto che incute paura, ma il pieno pronto a offrire consolazione.

Se ne stava seduto per terra, con gli occhi chiusi e le orecchie spalancate, un leggero senso di smarrimento riempiva la testa. Percepiva il bruco che lavorava vicino alla formica, e le radici che creavano palazzi scheletrici nel sottosuolo. Captava il respiro di animali che lo fuggivano e allo stesso tempo ne erano attratti. Passi lontani, sibili vicini si alternavano a richiami volatili, confusi nel racconto che gli alberi si scambiavano.

Tutto aveva un senso, dall’insetto sconosciuto che si nascondeva nel suolo, ai lupi che cercavano una preda. Nulla era superfluo, nulla era scontato, ma ogni elemento aveva un posto e una funzione.

Tutto, tranne quello strano monaco seduto in silenzio. Se ne stava lì e cercava di capire quale fosse il suo posto in quella immensa ruota di vita.

Camera

Davanti a me solo squallore: un letto che scricchiola, una lampada rotta abbandonata in un angolo, muri sporchi e spogli. Una stanza di chi non vuole fermarsi, di chi non si sente a casa.

Ma quando e dove potrò finalmente dire casa?

Questa città mi offre un lavoro, per quanto svilente e poco soddisfacente, ma niente più. Qui non ho nessuno e la solitudine mi attanaglia.

Me ne lamento io, che nella solitudine mi sono sempre ritagliata un angolo di pace.

Ora, però, il cuore si fa più pesante, il battito più doloroso, le spire della paura stringono i polmoni, tolgono il respiro. Rabbia, paura e invidia cercano di farsi spazio, si nutrono di tutte le brutte esperienze che ogni giorno vivo, della mia debolezza. Come piccoli mostri cercano di prendere il sopravvento, di rendermi rancorosa.

Una lotta quotidiana per non perdere il controllo, per non sprofondare in un buco scuro di tristezza.

Perché questa camera scomparirà, e la lampada alzerà il suo collo spezzato, e ci sarà qualcuno che cercherà di infrangere una corazza di diffidenza.

Luce

L’allodola corre incontro alla luce. Poco importa che sia un gioco di qualche ragazzo, un inganno, un’illusione. L’allodola la insegue, anche se questo significa cadere in una trappola, essere derisa. È la sua meta, il suo sogno da raggiungere.

E qual é la nostra meta, il nostro sogno, la nostra luce che seguiamo ovunque, costi quel che costi?

Ebbene, a volte questa luce scompare, piomba il buio. Viene meno quell’affannarsi che, pur essendo vano, ha dato comunque un senso a tutto quel faticoso dimenarsi. Le tenebre paralizzano, con mille lacci invisibili che trattengono, opprimono, tolgono il respiro. Non rimane altro se non rimanere fermi, immobili, come insetti in una stanza buia, ormai dimentichi della luce che li aveva fatti impazzire.

Ma prima che il buio diventi un conforto, bisogna ritrovare il lampo, la scintilla da inseguire, che sia solo un riflesso di uno specchietto o il riverbero del sole. Limportante é che ci faccia sognare.