Campi Elisi – Pt. 9

Gli amati dagli dei. Chi sono veramente gli amati dagli dei? Uomini, donne e semidei che sono diventati dei simboli, che hanno trasformato il loro corpo di carne e ossa in qualcosa che davvero è immortale e che riesce a parlare senza una bocca. Sono idee incarnate in personaggi. Nei Campi Elisi, però, queste idee si ripiegano su se stesse, si ritorcono e non riescono a trovare pace, ripercorrono uno, dieci, mille volte lo stesso percorso che nella vita li ha dilaniati conducendoli alla rovina. Non sono capaci di trovare perdono, questo è compito di chi respira ed è ancora in divenire, non sanno dimenticare, altra capacità che sono chi ha un cuore può comprendere.

La dimenticanza può essere la salvezza. Ma i versi di un poeta cieco e le storie dei suoi successori hanno reso impossibile alle anime scivolare tra le acque del fiume Lete. L’immortalità spetta agli amati degli dei.

“Essere re non ha impedito, però, di essere sgozzato come un animale sacrificale, davanti a una vasca, dopo aver calpestato un tappeto rosso, rosso come il mio sangue, rosso come la vendetta che Clitemnestra ha voluto giocare su di me. Ero un re, sono stato ridotto a una vittima”.

“Agamennone il tuo lamento rimbomba tra i tuoi discendenti e ripete le maledizioni di Atreo. La tua stirpe non è fortunata. La tua stirpe è antica, e le leggi che la regolano lo sono altrettanto”.

“Poeta, parli di leggi, come se fossero le costanti che scandiscono i tuoi versi, un ritmo che si propaga ovunque e che affligge i miei antenati e i miei discendenti. Forse qualcuno si salverà”.

“Si salverà il figlio, che sporco di vendetta ha chiesto giustizia agli uomini. Anche le Erinni devono trovare pace. Anche le Erinni si sono stancate di rincorrere un colpevole che trascina il pesante fardello dei padri”.

“E Ifigenia. Che ne è di Ifigenia”.

“Lei è stata la tua vittima. E tu lo sai, Agamennone. Sei stato sacrificato all’altare esattamente come tu hai immolato una fanciulla per una guerra che ha richiesto fin troppi sacrifici”.

“La mano del padre è la mano dell’assassino. Dunque è vero?”

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Alcesti

La fama è una leonessa: stupenda, ma potenzialmente letale.

Per la fama ho affrontato la morte. Lo so, molti diranno che la mia scelta è stata dettata dall’amore per mio marito, ma si sbagliano. Guardatelo, quell’uomo potente e ammirato accetta di mandare me, una donna, a morire al suo posto. È avido di vita, e mi chiede di pagare il prezzo di un amore che non è mai esistito.

Mi mancheranno le risate dei piccoli.

Mi fa ridere quel nano. Neppure suo padre cederebbe un giorno sulla terra per salvarlo. Dicono entrambi che hanno di meglio da fare che visitare il Tartaro. Molti la pensano come loro. Anch’io, a pensarci bene.

E io? Io mi vendico. Di chi si ricorderanno, di Admeto forse? O di Alcesti? Io vi dimostro cosa sia il coraggio.

Mi mancheranno i raggi tiepidi del sole.

Ora tra le ombre sono ombra, e ombra sarò anche se questo viandante con la pelle da leone riuscirà nell’intento di calmare l’animo del vivo Admeto.

Sacrificabile

Il cuore è pesante. La mente impaurita. La pietra nel petto mi raggela le membra.

Le mie gambe vorrebbero correre lontano. La mia voce vorrebbe urlare l’ingiustizia: che i venti portino la mia triste storia per tutti i mondi, per terra e per mare.

Mi era stato promesso uno sposo, ma l’altare che vedo è lugubre.

Mi ero immaginata un futuro splendente, onorevole. Ora davanti a me c’è solo il nero nulla.

Sono venuta per Eros, ma trovo solo Thanstos.

Mio padre è lì, che mi aspetta. Ai suoi occhi la mia vita vale meno dei suoi affari, del suo buon nome. Le sue mani stringono il coltello. Non si rende conto che colpendo me colpisce se stesso. Sarà ricordato come l’assassino di sua figlia.

Il mio cuore già smette di battere. Non fuggo. Sono superiore a tutti i presenti. Non vedranno la mia paura, non mi vedranno implorare.

Guardatemi! Distogliete gli occhi, vigliacchi.

E tu padre, riuscirai a compiere il gesto fatale? Tradirai doppiamente me? Affronterai l’ira di mia madre?

Non dire che la nostra stirpe è sventurata. Qui gli dei non c’entrano. Siamo noi umani a creare le nostre disgrazie.

Il marmo è freddo. Io diventerò marmo. Perché io sono sacrificabile. Non la guerra, non la morte, non un l’onore. No. Sono io ad essere sacrificabile.

Vedo la mano. Vedo gli occhi spietati. Vedo la bocca che sussurra. Ifigenia.