La sola a rimanere sveglia

La notte è stranamente calma oggi. Non ci sono rumori, se non i mormorii della casa. Nessuno è sveglio, nessuna anima vigila sulle stelle che brillano con timidezza. Solo io mi ritrovo in questo angolo a guardare il soffitto, o l’ombra che cela il soffitto.

C’è un certo senso di esclusione unito a una sottile invidia per chi si è già dimenticato della giornata e fa correre le ore della notte fino all’alba successiva. In questa stanza, invece, le ore si attardano appesantite dalla fatica di una lunga camminata che non accenna a rallentare.

Il mondo che non dorme si rigira là fuori come anime incapaci di trovare riposo. Sono solitudini che si intrecciano in silenzio e che portano il silenzio della notte chiuso nel cuore.

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Da solo – Giorno 16 Real Game – FINE

L’ultimo soggetto si è dimenticato del suo diario, che è stato rimosso dalla sua versione virtuale. Il comportamento si è normalizzato. Il recupero dei ricordi si è interrotto, nessuna traccia della stanza delle prove in cui sono presenti i centoventisei soggetti. Nonostante sembrasse spaventato dall’austerità della stanza, ha completato il ciclo di preparazione e ha indossato il visore.

Nella stanza non si sentono rumori, solo un ronzio del ricambio d’aria che permette di mantenere una temperatura ideale e costante. Solo di tanto in tanto qualche giocatore emette un suono inarticolato, per qualche incontro inaspettato nel proprio mondo, di piacere o di dolore.

Nella stanza entravano solo i nuovi adepti per i quali venivano aggiunte delle poltrone, e il personale, che si occupava a riempire le sacche di alimentazione collegate ai giocatori e a occuparsi dell’igiene degli stessi. Per il resto, regnava una tranquillità assoluta.

Nella sua raduna, poco lontano dalla spiaggia, Andrea si dilettava a mangiare frutti e a tuffarsi nel fiume di risorgiva senza più preoccupazioni, dimentico di Clara e persino del suo nome. La sua mente non si poneva domande su come fosse finito in quel posto. Aveva accettato la sua situazione, l’aveva trasformato un’abitudine così confortevole da poterne più fare a meno. La scritta Real Game sull’edificio anonimo scomparve del tutto, anche se talvota alvrebbe giurato di aver sentito una mano fugace che gli tastava il braccio.

Poco lontano Clara viveva la sua vita piena di avventura che aveva sempre desiderato. Non fece più incursione nel mondo di Andrea, di cui aveva dimenticato l’esistenza. La nonna di Andrea, nelle prime file, si immaginava di galleggiare in aria come un lucciola, sorretta da una famiglia calorosa e di successo, quella che aveva sempre sognato e mai avuto. Venne svegliata ancora sognante quando i paramentri iniziarono a essere preoccupanti e trasferita in una struttura adatta con la diagnosi di demenza e deperimento.

Nei loro mondi i soggetti erano felici, e sulla bocca di tutti aleggiava un sorriso di beatitudine difficile da vedere nella realtà. Ma il loro guscio di serenità non era che un’illusione in una spoglia stanza di cemento.

Quando gli investigatori entrarono a Real Game, si chiesero quali sarebbero stati gli effetti di svegliare questi sognatori di felicità.

Filottete

Il mare infinito non parla. Tutte le creature che lo abitano hanno perso la voce e non si fanno vedere. L’isola è muta da quando gli altri se ne sono andati, lasciandomi qui a marcire assieme al mio dolore.

Se qualcosa cambia, si è condannati all’isolamento. La mia forza è stata abbattuta da una ferita, i miei amici sono stati sconfitti dall’orrore per la malattia, alla vista della realtà che potrebbe abbattersi su tutti loro, a seconda del desiderio del fato.

Il mio è stato esacerbato dall’eroe che eroe non voleva essere, e che eroe non è. Non si è fatto troppi scrupoli a privarmi di tutto, a lasciarmi su questa arena. Non attendo che la morte. Ma prima, all’orizzonte, comparirà anche lui, il sagace guerriero che con la voce vincerebbe mille battaglie, e con l’inganno sbaraglierebbe interi eserciti.

Non riesce a sopportare la sofferenza. Eppure anche lui dovrà patire mali e si ritroverà solo, nudo, abbandonato su una spiaggia che non conosce. Forse in quei momenti si ricorderà di Filottete, lo sfortunato eroe ferito in un incidente.

Perché il malato vi fa così paura? Cosa temete? Cosa temi Ulisse: forse di non tornare in patria? O di tornarvi mutato?

Tornerai, non solo in patria, ma qui. Tornerai dal mefitico eroe. Lo so. Qui con me ho l’arco senza il quale neppure le tue macchinazioni possono realizzarsi.

Da solo – Giorno 11

Devo aver preso un bel colpo alla testa se non riesco a ricordare la scritta del posto in cui mi ero fermato. Era davvero enorme, svettava in cima con lettere che sembravano giganti messi in fila. Non era molto lunga, e forse non era solo una parola, ma due. Poi non riesco più a mettere a fuoco nulla. Anche l’interno della struttura rimane un mistero. Meglio lasciar perdere, per ora: sembra che non riesca a ottenere nient’altro se non un gran mal di testa.

Tornando a noi. Il fiumiciattolo sta diventando più sottile e più irruento, buon segno: vuol dire che mi sto avvicinando alla fonte, alla mia meta. Quello di non avere una meta è sempre stato un difetto che Clara mi rinfacciava. Secondo la mia adorata ragazza mi muovevo come un automa, facevo solo il compito che mi veniva affidato, quello che ci si aspettava da me, nulla di più, nessuna ambizione. È probabile che il suo carattere irruente l’abbia spinta a considerare il mio amore per la tranquillità una debolezza di indole. Ma non siamo fatti tutti allo stesso modo, per cui, cara Clara, sarebbe stato meglio dividere le nostre strade prima.

Questo posto mi piace, soprattutto ora che non incontro strani animali parlanti. Quando cercavo di calmarmi raffigurandomi un luogo ideale, mi immaginavo proprio una spiaggia con alle spalle una verdeggiante macchia di alberi. Mi viene persino il dubbio di aver subito un qualche incidente e di essere in bilico sulla voragine della morte. Eppure non sento alcun dolore. Meglio che faccia la mia camminata quotidiana, in modo da rischiararmi la mente e allontanare questi pensieri.

La sera ha sempre qualcosa di speciale, una sorta di magia che porta le tenebre, soprattutto qui, dove nasce il mio liquido compagno di viaggio. È una bella raduna, con al centro una sorta di masso da cui scaturisce una fresca acqua pura, che sembra poter lavar via ogni tristezza e ogni pensiero. Ora basta solo trovare un nuovo obiettivo.

Da solo – Giorno 5

Tigri e zanzare. Questo posto sta diventando un incubo. Passi per le zanzare, ma la tigre proprio non ci voleva. Stiamo parlando di uno dei più grandi predatori al mondo, e io non sono un avventuriero capace di abbattere con le nude mani un felino troppo cresciuto. Una tigre parlante e con il nome di Clara è ancora peggio. Avrebbe potuto mangiarmi, staccarmi la testa e finirla lì. Ma, esattamente come Clara, l’umana, anche alla tigre sembra piacere giocare con il cibo prima di banchettare.

Ho deciso, farò finta di niente. A volte funziona. Ora devo riprendere l’esplorazione di questo incubo. Magari riesco a trovare il misterioso corso d’acqua che permette a questi alberi spiritati di vivere.

Sembra davvero abitato da spiriti il bosco. Anche questa sera mi sono fermato nel cuore della foresta e sembra che parli. Permettetemi di specificare meglio, perché non pensiate che io stia impazzendo tra tigri chiacchierone e tronchi canterini.

Facciamo un punto della situazione: il bosco sta diventando più fitto, quindi, non mi sono limitato a passarlo da parte a parte come l’ultima volta. Inoltre mi è sembrato di sentire il gorgoglio dell’acqua, ma è stato solo un attimo, poi i suoni della foresta hanno coperto tutto. La sensazione di essere osservato continua, nella speranza che non si tratti della tigre.

Non mi resta che pensare a come mi sono cacciato in questo bel mistero. Sono certo che oggi sarei dovuto andare in un viaggio di lavoro, ma nulla di esotico: un piccolo viaggio in macchina, nulla che avrebbe potuto gettarmi su una spiaggia sconosciuta.

Ma questa proprio non ci voleva.

Da solo – Giorno 2

Cominciamo il viaggio. O almeno io comincio il viaggio, voi siete solo delle pagine che mi porto appresso. Per fortuna ho qualche scatola di cibo e delle bottiglie d’acqua, che ho trovato in una sacca vicino a me. Quello zaino ha qualcosa di familiare, ma non riesco a capire il perché. Questa mattina ho deciso di escludere il naufragio fra le cause di questa mia solitudine. In primo luogo, mi sono svegliato completamente asciutto, senza salsedine sui vestiti, e poi non ci sono rottami. Solo io e la sacca di cibo.

È ora di partire, ci sentiamo questa sera.

Per quanto non ne fossi certo, sono riuscito a raggiungere uno spiazzo di quella che sembra una foresta. Non deve essere molto grande, perché gli alberi si stanno già diradando. Il problema è che non ho ancora sentito nessun dislivello. Questo posto è piatto come una tavola.

Ho trovato altri animali con un nome: zanzare. Spero di scovare qualche cosa d’altro prima che le scatolette finiscano. Inoltre ho tentato di mangiare dei frutti di albero, in piccola quantità. Non sono velenosi, visto che vi sto scrivendo, ma hanno un sapore terribile, peggiore di qualsiasi intruglio fatto da mia sorella. Domani continuerò l’esplorazione. Ci devono altri animali oltre agli insetti, perché li sento, ne percepisco i movimenti e i versi, ma non riesco a individuarli. Spero non siano predatori.

L’ultima cosa che mi ricordo, curiosamente, è la discussione con mia mamma riguardo Clara, la mia ragazza infedele. Secondo lei non ero all’altezza di quella donna. E poi dicono che le madri sopravvalutino sempre i propri figli, soprattutto i primogeniti maschi.

E se non fosse stato un incidente?

Da solo – Giorno 1

Nemmeno so perché stia tenendo un diario. Dopotutto in questa isola, se di isola si tratta, mi ritrovo da solo. Ho nome solo per poche cose che mi circondano. In primo luogo ho il mio nome: Andrea. E poi c’è sabbia, mare a perdita occhio, alberi e uccelli non meglio definiti. Probabilmente state pensando che stia delirando. Può essere, ma tanto esistete solo nella mia immaginazione. Eppure, pensateci bene: se si conoscono le definizioni di oggetti, animali e piante, allora si hanno più chiare anche le loro proprietà. In questo momento, invece, non so se quel cespuglio produca bacca o frutti, e, se così fosse, non ho la minima idea se siano o meno commestibili. Per ora sono l’unica cavia disponibile, per cui in caso di errore sarò anche l’unica vittima. Bene per gli altri, peggio per me. Magari sono bacche allucinogene.

Ma di una cosa sono certo, mi chiamo Andrea. O Luca? O Marco? Scherzo, scherzo, il sole non mi ha fatto ancora questo effetto. Sono Andrea, e mi ritrovo in una terra da esplorare.

Vi starete chiedendo come ci sono finito in questa situazione. Bella domanda, perché non me lo ricordo. L’unica cosa che so è che mi ritrovo su questa morbida sabbia bianca, davanti a un mare turchese, ma che non sono in villeggiatura o in un viaggio di piacere, almeno così credo. Mi sono svegliato qui, al suono di qualche uccello che volteggiava sopra di me, lontano, nel cielo, magari sperando che io fossi una carcassa. E infatti, quando mi sono svegliato, ha subito cambiato posto. Anche lui non mi sopporta.

E già, perché sembra che nemmeno la mia fidanzata mi sopportasse molto. Prima di ritrovarmi qui, ero un cittadino normale, con una vita normale, e aveva appena scoperto che la mia ragazza si vedeva con un certo Alfredo, nome che, ammetto, è molto più promettente del mio, per scambiare qualcosa di più di semplici parole. Mi disse che le ero venuto a noia. Dal numero dei miei amici, temo che venga a noia a parecchia gente. Ma ne parleremo un’altra volta.

Qui sta calando la notte. Domani cercherò di trovare un punto sopraelevato per capire se questa sia effettivamente un’isola o se ci siano segni di altri umani. Almeno così fanno nei film.

Spazi vitali

Abbiamo bisogno del nostro spazio. Non è certo una novità, come dimostra, tra gli altri, anche Virginia Woolf in A Room of One’s Own. Per quanto siano passati diversi anni, molti dei problemi che la scrittrice aveva messo nero su bianco permangono, e non solo nel mondo letterario. Gli spazi vitali, la capacità di intagliarsi uno spazio nella vita privata, così come nella società, è sempre stato un problema che accomuna tutti, e in particolar modo le donne. Tra famiglia e doveri di vari tipo che vengono convenzionalmente attribuiti al ruolo femminile, poche sono le occasioni in cui si riesce a chiudersi nella propria stanza.

Non mi addentrerò in una dettagliata analisi della questione, per quello c’è il libro della Woolf, che, oltre a essere di grande ispirazione, è anche abbastanza complesso da rendere superflua ogni mia aggiunta. Negli ultimi giorni, però, ho sentito la mancanza di questa famosa stanza in cui ritirarsi per dedicarsi a ciò che più aggrada, o semplicemente per non sentire il cicaleccio del mondo e di persone a malapena tollerate. In primo luogo perché la mia stanza è stata momentaneamente ceduta per un bene superiore, dal quale bisogna sempre diffidare, e in secondo luogo per i doveri sociali che si impongono con ferrea decisione.

Sembra di essere in un perenne stato di soffocamento, non solo fisico, ma anche mentale. I pensieri sbiadiscono, diventano pesanti, e si fatica a respirare, come se l’aria diventasse rarefatta. Senza contare la capacità di qualcuno di ritenersi degno di poter criticare ogni singolo aspetto.

Ho passato una vita a cercare la mia stanza, con scarsi o precari risultati. Ma mai perdere la speranza.

Fame d’amore

È pericoloso essere sempre affamati, si rischia di commettere delle sciocchezze. Ma quell’appetito difficilmente può essere messo a tacere, soprattutto se si parla di amore. Si indossano maschere su maschere solo per rubare una briciola di affetto, per elemosinare un sorriso.

Nei momenti di magra, la fame diventa insopportabile e l’assenza assume le fattezze di un gigante immenso. Uno dopo l’altro sfilano le ombre di chi dovrebbere essere qui a ridere, piangere, ma la stanza rimane vuota.

E in questa desolazione che cosa rimane? Solo un ricordo e la sensazione che questa fame possa durare un po’ troppo.