Dentro a un barattolo stava rinchiuso Pick. Il suo corpicino tutto nervi, di un azzurro intenso si scagliava contro quell’involucro di vetro per cercare di romperlo, o almeno di spostarlo. Ma nulla da fare, perché chi lo aveva intrappolato lì dentro, doveva aver pensato a quell’eventualità: il vasetto era di spesso vetro, incastrato tra delle scatole che avevano l’aria di essere decisamente pesanti.

Pick non correva il rischio di morire dentro al barattolo: le creature come lui non hanno bisogno di aria, né di cibo o di acqua. Hanno solo bisogno di sfogarsi, di volare tra la gente. E per questo erano dotati di piccole ali traslucide che, se non fossero state intrappolate in quella prigione di vetro, avrebbero portato Pick in giro per il mondo.

Insomma, Pick era un folletto. Per l’esattezza era un folletto distruttivo. Non che combinasse grandi disastri, che erano compito di creature ben più massicce e spaventose; si limitava a rompere qualche vaso. Indurre qualche uomo ad alzare la voce, a pronunciare parole proibite. O poteva lanciare in aria il contenuto di un cassetto ben ordinato, centrare con il pallone quella farfalla di cristallo, o far volare piatti da un lato all’altro della stanza.

Era proprio questo il motivo per cui Pick se ne stava chiuso nel vasetto. Lo aveva rinchiuso un umano, stanco di questa follia distruttiva che lanciava striature colorate in un mondo grigio. Si sa, gli umani troppo ordinati sono sempre da temere.