Osservatore

Sedeva su una scheggia impazzita che vagava per l’universo senza una meta. Era padrone incontrastato di quel vasto dominio che permetteva di ospitare se stesso e qualche piccola pietruzza. E tutto ciò gli bastava, poiché passava la gran parte del suo tempo a scrutare l’infinito.

No, no, nulla di trascendentale o altamente filosofico. Quell’omino così magro da scomparire nel buio del cosmo era il guardiano dei mondi, osserveva, ricordava, curiosava in tutti i pianeti di quell’immenso spazio.

La maggior parte, inutile a dirsi, era vuota come un guscio di noce abbandonato da uno scoiattolo.  Ma alcuni erano spassosi. Aveva visto un mondo rosso per i fuochi di abitanti sempre infreddoliti. Quando fece ritorno per vedere se fossero riusciti a trovare un po’ di calore, si ritrovò di fronte una sfera fumante e bruciacchiata.

E quel pianeta tutto canti e feste. Che allegria, che spasso. Ma ben presto quegli abitanti persero la voce, e il canto venne riservato ai pochi che potevano permettersi di passare ore e ore in estenuanti esercizi. Dopo un un longo errare, l’omino volle tornarci per capire se avessero trovato una soluzione. In effetti il problema era stato risolto: i pochi eletti continuavano le loro feste, i molti comuni erano piombati del grigiore di un’esistenza fatta di ricordi.

C’era persino una sfera azzurra variegata di verde. Strane creature vi abitavano, sempre in affanno, sempre con gli occhi chini a terra. Erano capaci di opere magnifiche, di dare materia ai sogni, ma poi piombavano nell’infimo dell’egoismo e dell’indifferenza.

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