Voglia di volo

Avrebbe voluto volare, ma non poteva. Lacci solidi e potenti legavano le ali. Grosse catene nere lo trattenevano a terra. Come un uccello imbrattato di pece, non riusciva a spiccare il volo tanto agognato.

Sentiva il forte odore umido del terreno. Ne poteva avvertire gli abitanti ciechi che rifuggono la luce: lombrichi, insetti, talpe che si aggiravano tra il labirinto di radici. Era questo aroma ad averlo incuriosito.

Ma ora gli mancava l’aria impalpabile del cielo, il refolo di vento, la corrente amica, il calore intenso della neva, e la soffice nebbia delle nubi.

Gli manca la leggerezza, la sensazione di non avere peso, di essere diventato lui stesso vento. Libero, non delimitato dal suolo.

Ora sentiva tutto il peso premerlo a terra. Sentiva i vincolo che lo stringevano. Sentiva la gabbia, la prigione. Aveva dei piedi, delle gambe, un torace, che pesavano insopportabilmente. Aveva un corpo, una materia fatta di carne e ossa. Lui stesso era diventato la terra cui era vincolato. Anche il cuore era divenuto, infatti, un macigno gravoso.

Lasciatemi andare, vi prego. Voglio volate, voglio tornare a casa.

Ma chi erano i miei carcerieri? Erano invidia, odio, maldicenza. Ma anche paura e timore. Paura di cadere, timore di essere deriso e di essere sconfitto, di non librarmi nell’aria, ma di piombare a terra.

Finché non capì. Che gli altri parlino e sperino nella disfatta. Io sfrutterò i miei timori per tornare a volare.

Niente mi fermerà.