Amadriadi

Non senti questi sussurri, queste voci che si rincorrono scorrendo sui lunghi rami degli alberi, che scambiano facezie con gli abitanti del bosco?

Qui ogni elemento ha la sua anima. È un bosco che conosce il divino, che ha visto le dee bagnarsi nei suoi specchi d’acqua, che è stato testimone di sfide di canto, di inseguimenti. Mille storie, racconti sussurrati concimano queste terre.

Non toccate quei tronchi, non abbatteteli. Ci sono ninfe che conoscono il significato della parola morte, che si nutrono di linfa e che vezzose scuotono le chiome al vento. In silenzio si possono sentire cantare dolcemente al vento.

Le Amadriadi sono sorelle che non hanno voce, ma che intonano canti fruscianti, che non hanno piedi, ma corrono sotto terra per carpire i segreti del mondo.

Cerere

Sono stati mesi di sterile lutto. Perché non posso perdonare, non posso dimenticare.

Mi hai privato di mia figlia, della mia piccola adorata. L’hai trascinata lontana da me, dalla vita, dal sole. Laggiù, tra le anime dei dannati, tu, signore del regno più disprezzato e temuto, fratello del fulmine e del mare, hai preso in sposa con l’inganno la mia vita.

E allora disperata ho vagato e la terra fertile è diventata una sterile piana. Il grano non era oro, gli alberi lasciavano cadere i frutti e le foglie come se fossero lacrime.

Ma tu, crudele, non l’hai rimandata a me. Egoista, l’hai tentata con un frutto che sembra racchiudere il succo della vita. È bastato un chicco di melograno e la mia ragazza si è condannata all’oblio.

E gli uomini pativano. Affamati non riuscivano nemmeno a compiere sacrifici per gli dei. L’unico a gioire eri tu. Eri riuscito a portare tra la morte la vita prorompente della giovinezza.

Infine intervenirono gli dei. Sei mesi di matrimonio e sei mesi con me. Dovetti accettare il compromesso.

Tra un po’ tornerà la mia amata. E preparo i germogli, l’erba smeraldo, i boccioli. Risveglio gli animali e riscaldo la luce. Quando arriverà la vita esploderà.

Sei mesi di morte, sei mesi di vita. È questa la condanna di mia figlia. È questa la mia condanna. La condanna del mondo intero.

Leggende cosmiche

Si potrebbe dire che l’universo intero sia permeato di leggende, fantasia, racconti. Una storia cosmica che fa capolino quando meno te lo aspetti.

L’albero dalla corteccia nodosa cela in sé il corpo palpitante di una giovane ninfa che fugge alle brame di un dio. Le radici così ben piantate nella terra erano teneri piedi che correvano veloci, mentre i capelli fluttuanti vengono ancora accarrezzati dal vento che passa tra le foglie. La linfa scorre dove una volta c’era sangue, e il respiro fattosi affannoso si cristallizza ogni mattina in tenere gocce di rugiada.

La voce ripetuto all’infinito in una valle altro non è che la maledizione di una donna innamorata e non ricambiata.

Quella spoglia pietra ha avuto un cuore, spezzato alla vista della morte dei suoi adorati figli, abbattuti dall’ira e dall’invidia divina.

Il ragno è condannato a tessere per sempre la sua fragile tela per aver osato elogiare il proprio operato. Fili sottili destinati ad essere disprezzati e spezzati.

La terra è in realtà una madre da nutrire, il vulcano una fucina, dimora di titani, l’arbusto un ragazzo tradito e ucciso.

E il cielo è il più formidabile narratore che l’umanità abbia visto. Là Pegaso prosegue la sua folle ed eterna corsa verso l’Olimpo. Veloci stelle attraversano le notte estive sperando di non essere viste dal loro cacciatore. Non possono fermarsi incastonate nel manto scuro, perché verrebbero raggiunte da Orione, la cui cintura splende possente assieme al suo fidato cane. La notte racconta sommessa di eroi infaticabili, di navi che solcheranno in eterno un mare senza acqua, di uno schizzo di latte, di animali celesti.

Basta ascoltare, e il mondo narrerà la sua storia.