Amadriadi

Non senti questi sussurri, queste voci che si rincorrono scorrendo sui lunghi rami degli alberi, che scambiano facezie con gli abitanti del bosco?

Qui ogni elemento ha la sua anima. È un bosco che conosce il divino, che ha visto le dee bagnarsi nei suoi specchi d’acqua, che è stato testimone di sfide di canto, di inseguimenti. Mille storie, racconti sussurrati concimano queste terre.

Non toccate quei tronchi, non abbatteteli. Ci sono ninfe che conoscono il significato della parola morte, che si nutrono di linfa e che vezzose scuotono le chiome al vento. In silenzio si possono sentire cantare dolcemente al vento.

Le Amadriadi sono sorelle che non hanno voce, ma che intonano canti fruscianti, che non hanno piedi, ma corrono sotto terra per carpire i segreti del mondo.

Stravaganza

Un attimo, un attimo. Parla ora l’esserino insulso, Carassius Auratus. Rubo a voi, pochi lettori, una manciata di secondi per spiegarvi il motivo questo racconto. Ebbene, a me piacciono le fiabe. Oggi è stato un giorno difficile, molto lungo, terminato con oggetti lanciati e una rabbia che chiude i bronchi e stringe il cuore. Vi prego, quindi, di scusare questa stravaganza.

I suoi occhi avrebbero voluto chiudersi, riposare. Ma non poteva certo perdersi uno spettacolo simile: era figlio di uno dei cuochi e si era rintanato dietro quella statua per vedere il ricevimento che il signore aveva organizzato. Non avrebbe dovuto essere lì, ma creature così strane erano una rarità.

A capotavola sedeva il re. Non era vecchio, tuttavia il potere lo aveva logorato. Anche suo padre gli aveva detto che i re hanno grandi compiti ma pure grandi tentazioni da evitare. Persino dalla sua tana riusciva a scorgere i solchi al di sotto degli occhi. Di fronte a lui, dall’altro lato, la sua consorte. Non una bellezza, ma molto giovane.

Fra di loro, abitanti da ogni angolo del mondo.

Guardate là: è un uomo, sembra, con dei bei capelli ricci e scuri. Indossa vesti preziose e racconta di paesi lontani in cui il sole ha ridotto in polvere la terra. Al fianco una spada dalla lama ricurva. Ai piedi é sdraiato un gross0 gatto nera, che lui chiama pantera. In mano ha sempre un calice pieno.

Accanto un piccolo omino, tozzo, dalla voce potente. Ha le mani rovinate, i capelli crespi e la carnagione bianca. Raramente vedeva il sole, perché preferiva rimanere in cunicoli tra le montagne.

E lì, impossibile da non vedere: un enorme gigante. Sulla fronte un solo occhio, e sembra anche non vederci bene. Parla di un ladro, che avrebbe cercato di privarlo anche di quell’unico occhio.

Al suo fianco il folletto quasi sparisce. Le sue orecchie a punta fremono quando ride raccontando gli inseguimenti che una strana creatura dalle gambe di capra architetta per catturare stende donne.

Ecco là una di queste. Ha un’aria un po’ selvaggia, con ancora le foglie tra le chiome e con il suo vestito di pelli. Ma gli azzurri sono belli come due laghi nel bosco, e le sue labbra sono rosse come delle bacche.

Sta parlando con un’altra donna. Questa è possente, forte e ha solo un seno. Al suo fianco uno scudo e un arco poggiato vicino alla feretra piena di frecce.

In disparte se ne sta una figura longilinea. I capelli dorati mandano bagliori simili al sole e lasciano intravedere due graziose punte delle orecchie. Sembra molto restio a prendere partedel banchetto.

E poi un susseguirsi di buffoni, camerieri ed inservienti, tutti con livree multicolore.

Il giorno dopo il bimbo si svegliò sul freddo pavimento. Delle fantastiche creature non c’era più nessuno.