Upotalia

Nessuno aveva memoria dei grandi lavori che erano stati necessari per la realizzazione del serpente marino, Ofis, e nessuno si ricordava più quale fosse il nome originario di Upotalia, una città morta, ma che in passato aveva conosciuto la vita, così come l’aveva conosciuta l’altro ricordo, Osteia, che continuava a giacere come uno scheletro alle pendici della montagna. Se la morte di Osteia era stata causata da una qualche potente, ma sconosciuta, arma, la fine di Upotalia era evidente: era stata sommersa dal mare, probabilmente a seguito dei mutamenti di marea causati da Ofis

Non che fosse del tutto disabitata, qualche essere vivente si avventurava tra quelle rovine. Per lo più si trattava di pesci, molluschi e anche piccoli delfini che avevano occupato i vasti saloni del palazzo centrale, le stanze private delle case, le piazze che si spalancavano come occhi stupiti verso il mare. Di tanto in tanto vi si avventuravano anche degli umani, alcuni per curiosità, altri alla ricerca di perle, altri ancora richiamati dall’oro. La loro bramosia non era vana. Upotalia aveva l’aspetto, infatti, di una città opulenta, vasta e ricca. Era nata da un porto, e dal porto aveva ottenuto fama e commerci, prima che il mare diventasse un estraneo, un nemico, prima che le navi venissero bloccate da una muraglia invisibile.

Upotalia era annegata, nel silenzio e nell’indifferenza dell’Ordine, che non tollerava la presenza di una città talmente bella da competere con la stessa capitale. I palazzi di pietra bianca svettavano ora sul fondale, intaccati da alghe e muschi. Solo la punta del pinnacolo più alto del palazzo riusciva a scalfire la superficie del mare con la bassa marea, come una mano di un annegato che stia implorando aiuto al sole. Annegando, Upotalia aveva portato sul fondale tutte le sue ricchezze.

C’erano storie che venivano narrate nei villaggi di pescatori, quando le orecchie dell’Ordine non erano pronte ad ascoltare. Si diceva che le segrete del palazzo subacquee serbassero ancora ori, gemme, statue, cimeli provenienti da terre lontane. Ormai le sabbie si stavano chiudendo su queste ricchezze come il più geloso degli scrigni. Altri sostenevano, invece, che l’Ordine non si sarebbe mai lasciato sfuggire una tale possibilità di guadagno, e che avesse requisito tutte quelle bellezze prima di lasciare la lisca di Upotalia al suo triste destino.

Ciò che più infastidiva l’Ordine era il fatto che Upotalia costituisse la prova di un passato senza Ordine.