Stranezze

“È un uomo strano” ardii dire a Guglielmo.

“È, o è stato, per molti aspetti, un grande uomo. Ma proprio per questo è strano. Sono solo gli uomini piccoli che sembrano normali”.

Umberto Eco, Il nome della rosa.

Non muoverti. Non puoi muoverti, fermo.

Continuava a ripetersi questa litania, imbarazzato, sentendosi del tutto fuori luogo.

Intorno a lui centinaia di esserini si agitavano come una marea disordinata e scura. Correvano, senza guardare i compagni, dritti per la loro strada. Cercavano solo di non urtare gli altri, di non cadere per portare a termine il proprio compito. Parole poche. Discorsi vacui. Sono un lavorio ininterrotto.

E lui lì, fermo. Non poteva alzare un dito, allungare le gambe, sospirare, perché avrebbe causato uno scompiglio non indifferente. Allibito, guardava i suoi piccoli compagni che si affannavano per fini inutili, senza alzare gli occhi, nascondendosi dal sole, evitando qualsiasi confronto, dando per scontato quella falce argentea che sorrideva sornione.

A volte succedeva che ci fosse un po’ di guazzabuglio: avidità, invidia, rozzezza si aggiravano fra quelle anime. Dopo che si erano scatenate, lasciavano a terra gli sconfitti. Poi la normalità prendeva il sopravvento e tutti tornavano al solito affanno.

Finché non si stancò.

Fermo, gli dicevano. Mostro, lo chiamavano.

Ora basta, però. Si alzò. Gli omini vicino alzarono lo sguardo stupiti. Alcuni un po’ crebbero pure loro, altri, i più, lo sbeffeggiarono.

Mosse le mani, parlò, rise, corse, suonò e cantò.

Ogni volta un piccolo grande sconvolgimento investiva i suoi vicini. Chi si scontrava, chi era costretto a cambiare strada, chi si arrampicava per cercare di raggiungerlo. Chi lo sfuggiva, perché troppo strano, chi lo ammirava e apprazzava, chi,ancora, faceva finta di non vederlo, e, in segreto, lo imitava.

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