Maggio

Apriamo le porte a un altro mese, uno di quelli che porta il sapore inconfondibile dell’estate, ma senza la violenza di un sole che non dà tregua. Maggio è il mese delle rose e dei profumi, dei fiori che trasformano il cielo in nuvole colorate e la terra in un tappeto tessuto da mani impazzite e sporche di colore. Ed è anche l’ultimo mese prima che l’anno si ripieghi su se stesso per volgersi ancora un volta verso la fine.

Mentre fuori fili sottili di ragnatela creano impalpabili ponti aerei tra le traiettorie impazzite di insetti e volteggi di farfalle, anche il pensiero si perde in queste geometrie fantastiche e vaghe, sognando che qualcosa di buona possa nascere da una primavera che sta scivolando nell’estate.

Ancora maggio possiede ancora la freschezza della possibilità e l’eccitazione del cambiamento.

In equilibrio

Saltelliamo da un punto a un altro, con il costante timore di perdere l’equilibrio e di cadere goffamente a terra.

In queste strane acrobazie assomigliamo a dei passeri che allegri svolazzano di ramo in ramo, cercando di assecondare i movimenti delle fronde. Piccoli esseri piumati, a prima vista così semplici, eppure a loro modo eleganti, gioiosi. Sembrano trovare la loro felicità in quel raggio di sole scappato dalle nuvole, tra quelle tenere gemme di smeraldo che impreziosiscono i rami a lungo spogli.

Il loro cinguettio invoca la primavera, la vita. Le loro zampette si avvinghiano con determinazione a sottili ed elastici trespoli. In questo mare di cemento e palazzi, di rumorosa umanità e di irriverenti motori, cercano la loro isola verdeggiante.

Alla fine non siamo tanto diversi da loro. Nel grigiore quotidiano cerchiamo instancabilmente il nostro angolo di pace. Magari instabile, labile, passeggero. Ma consolatorio. E lo teniamo stretto, per paura di vederlo crollare, di perderlo.

E così non ci resta che accontentarci di una traballante, momentanea serenità.

Cerere

Sono stati mesi di sterile lutto. Perché non posso perdonare, non posso dimenticare.

Mi hai privato di mia figlia, della mia piccola adorata. L’hai trascinata lontana da me, dalla vita, dal sole. Laggiù, tra le anime dei dannati, tu, signore del regno più disprezzato e temuto, fratello del fulmine e del mare, hai preso in sposa con l’inganno la mia vita.

E allora disperata ho vagato e la terra fertile è diventata una sterile piana. Il grano non era oro, gli alberi lasciavano cadere i frutti e le foglie come se fossero lacrime.

Ma tu, crudele, non l’hai rimandata a me. Egoista, l’hai tentata con un frutto che sembra racchiudere il succo della vita. È bastato un chicco di melograno e la mia ragazza si è condannata all’oblio.

E gli uomini pativano. Affamati non riuscivano nemmeno a compiere sacrifici per gli dei. L’unico a gioire eri tu. Eri riuscito a portare tra la morte la vita prorompente della giovinezza.

Infine intervenirono gli dei. Sei mesi di matrimonio e sei mesi con me. Dovetti accettare il compromesso.

Tra un po’ tornerà la mia amata. E preparo i germogli, l’erba smeraldo, i boccioli. Risveglio gli animali e riscaldo la luce. Quando arriverà la vita esploderà.

Sei mesi di morte, sei mesi di vita. È questa la condanna di mia figlia. È questa la mia condanna. La condanna del mondo intero.