Scale

Una lunga, ininterrotta fila di scale si snodava a perdita d’occhio. Davanti si inerpicava su una parete rocciosa, fiancheggiando un abisso vuoto. Dietro si perdeva nell’oscurità.

I gradini erano irregolari, a volte alti, a volte bassi, squadrati e lisci, frastagliati e irregolari. Alcuni umidi, scivolosi, come se avesse appena piovuto. Altri secchi, polverosi, aridi.

Salirci era un’impresa difficile. Si rischiava di perdere l’equilibrio o di scivolare e farsi male. Le cadute del passato proiettavano una cupa ombra di paure e timori sul percorso ancora da affrontare. E il piede si faceva più pesante e più incerto, procedeva lento, con il terrore di precipitare nel nulla o di invertire il cammino e tornare indietro.

Per questo si era seduta. Solo momentaneamente, però. O almeno così sosteneva. E se non fosse stata una semplice pausa? Se questa interruzione l’avesse rovinata, infiacchita?

Non le restava che alzarsi. Dolorante, insoddisfatta. Sola.

Ma doveva salire.

Scalino dopo scalino.

Perché se il punto dove si trovava la rendeva così triste, tanto valeva lasciarselo alle spalle e sperare in qualche cosa di meglio.