Trovare un senso

Negli ultimi anni sono avvenuti molti cambiamenti non desiderati, e altri agognati non hanno nemmeno accennato ad avvenire. Nulla di strano: la vita è fatta di molte componenti, non tutte dosabili a piacimento, per cui il risultato rimane un’incognita fino alla fine.Quello che mi spaventava era il fatto di non riuscire a vedere un disegna, una coesione in tutto quello che stava succedendo. Mi sembrava che mi arrivasse prima una scarpa destra e poi un guanto sinistro, del tutto inutili insieme e privi del proprio compagno.Eppure è come un corpo: preso nelle sue singole parti, sembra essere del tutto slegato. Qua c’è un nervo. Là un muscolo, un po’ oltre le viscere, ognuno con il proprio ruolo, con una funzione ben preciso. Ma visto nell’insieme, questa accozzaglia di tessuti forma una macchina che sfiora la perfezione, un equilibrio fragile, eppure funzionale.Forse ora il disegno si sta componendo. È bastato ammettere che per alcuni il disegno si profila prima di altri. Ho sempre cercato di bruciare le tappe, ma per una volta mi sono riservata di fare una marcia indietro, di prendere una strada laterale che mi permetta di raggiungere, almeno nei progetti, una via più agevole.E per ora sembra che anche i pezzi più ostici stiano trovando il loro posto in questo folle caleidoscopio che è la vita.

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Colori

Guardi il mondo con gli occhi di tutti i giorni, ma al mondo non servono le solite lenti per poter essere amato. Al mondo serve uno sguardo sempre nuovo e pronto a stupirsi, una mente allegra capace di vedere e di sentire anche con il cuore.

Guardi il mondo e non vedi. O meglio, vedi una semplice gradazione di grigi, un’accozzaglia di accostamenti che stonano, una cacofonia che non ha senso. A questo caos sfuggi impaurita, da questa confusione ti nascondi, come una bambina quando sente il tuono avvicinarsi minaccioso.

Non tutto cela pericoli, e a volte la confusione è solo dentro il cuore e nella mente, ma non al di fuori. I colori giocano, all’alba delicata segue la forza prepotente del giorno e l’intensità del tramonto. Si passa dalla delicatezza della nascita alla forza della fine. Azzurro, bianco, ocra, verde danzano in un ballo che non ha coreografo.

Non avere paura di vedere tutti i colori della vita. Non temere di esserne abbagliato. E se anche dovesse succedere, ne vale la pena.

Passeggeri – Pt. 12 Capolinea FINE

Ogni viaggio, come ogni esperienza, deve arrivare a una sua conclusione. E lo stesso per il treno di notte. Alla fine tutto si ferma, la corsa perde completamente la sua forza, si affievolisce e non trova più l’impulso che lo possa spingere oltre.

L’arrivo al capolinea implica che anche le anime più indecise devono scendere e perdersi nella vasta terra che se ne sta immobile e che si apre con i confini inesplorati. Dentro le carrozze tutto è più definito e più sicuro, assume i confini conosciuti che lo sguardo può abbracciare.

Il capolinea segna la fine dei sogni, le palpebre riprendono il loro ritmo dopo che gli occhi sgranati si erano persi nella notte. E dopo un sospiro il viaggiatore che si attarda, abbandona la sicurezza di una carrozza, e, con un sospiro, torna alla vita.

Nonostante tutto

Nonostante tutto procediamo, nonostante tutto dimostriamo di essere più forti, più coraggiosi di quanto altri si aspettino, o di quanto diamo a vedere.

Probabilemente dipende dalla natura stessa dell’uomo, dall’istinto che spinge a cercare la sopravvivenza, di scovare sempre una via d’uscita, per quanto questa sia nascosta e mimetizzata. Nonostante i venti contrari, si procede, anche se con fatica, tentando di mantenere un passo ritmato e costante.

Nonostante tutto. La vita ci chiama a reagire, e noi non possiamo fare a meno di risponderle.

Si procede seguendo una linea immaginaria, che talvolta scompare anche agli occhi degli stessi pellegrini che ne calcano il percorso. E allora si improvvisa, si immagina, con il pericolo di trovarsi in una strada diversa e inaspettata.

Nonostante tutto.

Raccontare

C’è chi riesce a raccontare qualsiasi cosa, c’è chi ha storie per tutto, a volte talmente strampalata da risultare finte come un aroma artificiale: forte e di carattere, ma poco digeribile.

Negli ultimi tempi mi sono chiesta che cosa potrei raccontare io di strano. In realtà molto poco, e comunque niente che non sia capitato già ad altri. In due parole: vita ordinaria. In questi mesi, inoltre, la vita ordinaria è diventata un bel piattume, ma questa è un’altra storia, che, secondo i piani, dovrebbe cambiare in un prossimo, e non molto lontano, futuro.

Mi chiedo, però, perché ci siano persone talmente annoiate dalla propria mediocrità da non perdere l’occasione per mettere sul tavolo racconti e aneddoti utili in ogni occasione. Amici che compiono azioni travalicando il limite non solo della legge, ma anche del buon senso e dell’istinto della sopravvivenza, parenti adorati e ascritti al registro degli eroi costellano le conversazioni.

La reazione richiesta è ovviamente una bella risata: lo richiede la legge della società. Da qualche parte, però, il buonsenso cerca di cadere in uno stato di catalessi.

Il fabbricante di bambole – Pt. 14 FINE

“Faber, guardami. Come hai chiesto, la principessa. Ma ti prego, ragiona. Ciò che è stato è stato, e non può essere modificato. Sono leggi che valgono ovunque. Vivere nella memoria, rifugiarsi nel sogno non risolve il problema”.

“Nestor, credo a quello che vedono i miei occhi. Lei è là, vicino a te. Per questo me la volevi tenere lontana? Perché siete stati voi a rapire Eleonor, esattamente come avete fatto con me?”

“Eleonor non è prigioniera del sogno, Faber. Eleonor ha dovuto imboccare un’altra strada. Ma non appartiene a Ipnia”.

“Faber, la tua bambola è un vanto per Ipnia stessa. Mi hai onorato realizzandola così perfettamente”. La voce leggera come una farfalla si posò sull’animo ferito di Faber, che si piegò come una fiera domata.

“Perché mi fate questo?”

“Faber, non siamo noi a farti questo. Questo male dipende solo da te. Questa volta sei tu a poter decidere. L’equilibrio è stato ripristinato, puoi tornare al tuo laboratorio. Le bambole di Ipnia ci garantiranno la sopravvivenza ed eviteranno che la tua realtà venga contaminata, che le fragili anime dei sognatori si incrinino”.

“Eleonor, mi stai dicendo che posso andare? Perché? Proprio ora che ti ho ritrovata”.

“È solo un’illusione, Faber. Se tu lo volessi, la principessa potrebbe assumere un altro aspetto”.

“Taci Nestor. Mi hai sempre ingannato. Mi hai privato di Eleonor”.

“Nestor è un fedele servitore. Non esiste alcuna Eleonor a Ipnia. Torna nel tuo mondo Faber, lascia che il sogno faccia il suo corso. Continua a vivere. Tornerà il momento in cui ci rivedremo. Arriverà il giorno in cui potrai parlare con Eleonor. Ma devi fare ancora qualcosa”.

“Faber, è ora di andare”.

“Eleonor…”

“Faber… Faber. Faber!”

L’artigiano si guardò attorno. Le bianche mura del palazzo erano scomparse, e davanti a lui non c’era Eleonor, e neppure Nestor, solo la vecchia madre che lo guardava curiosa.

“I clienti aspettano”.

Radici

C’era una stanza abbandonata in un enorme edificio in cui erano stati nascosti oggetti di ogni sorta dimenticati da anni di disattenzioni e di piccole vendette. Foto di persone che vivano solo sulla carta, telefoni che non ricevevano più chiamate, ombrelli, piccoli gioielli. E persino un’armonica, qualche libro, giochi di bambini e lettere che parlavano di amori, di debiti e di ricatti.

L’uomo dimentica tutto, non sempre volontariamente, ma spesso con la consapevolezza che dimenticare permette di respirare. La stanza era semplicemente un deposito di cianfrusaglie che un tempo erano state nelle mani calde di vita. Ora giacevano in un cimitero di ricordi.

In questa desolazione, però, c’era della vita. Nel sostrato di morte e corruzione affondavano delle radici fragili, sottili, nelle quali scorreva prepotente una vita flebile che con grazia e tenacia si inerpicava su cumuli scuri per raggiungere un raggio ramingo di sole.

Nato storto

Se un albero nasce storto, è difficile da raddrizzare. Elias era nato storto, anche se non fisicamente, ma di carattere. E nella sua vita aveva tentato di tutto per crescere dritto e bello come gli altri, ma non era riuacito a ottenere molto. Aveva tentato di smussare angoli, puntellare, piallare, ma niente: l’unica cosa che aveva ottenuto era stata nascondersi.

Si nascondeva perché si sentiva in difetto, così storto come si trovava. Chi lo circondava era sicuro, sapeva dove voleva andare, aveva una buona parlantina e una casa in cui tornare. Elias non aveva casa, ma un rifugio che odiava, balbettava leggermente e non sapeva nemmeno come potersi definire. Non aveva una meta, in un mondo di poeti e scienziati, non aveva una qualità.

Una vita storta non è una vita facile. Si passa il tempo a cercare di nascondere questa particolarità, ma è solo tempo perso a lottare con il vuoto.

Solo in un posto Elias si trovava bene. Si trovava su un colle, poco lontano dal villaggio in cui abitava. Su un fianco cresceva una quercia bella come solo le nodose querce possono essere belle. Elias la guardava e ne ammirava l’angolazione. La natura non era stata clemente: aveva piegato i rami, ritorno il tronco, scavato la corteccia. Ma nonostante tutto, quella quercia storta era ancora lì, perfetta nella sua contorsione.

Ed Elias sperò di diventare quercia.

Tanta fatica per nulla

Il tempo mostra le crepe del muro. Si deposita su queste fenditure come polvere d’oro rendendole evidenti a qualsiasi passante. Il tempo mostra le debolezze, vi si incunea dentro, per poi staccare la superficie.

Poco importa quanta fatica sia stata richiesta per realizzare la parete. Poco importa se sia parte di un magnifico castello o di un’umile dimora. Alla fine crollerà. E se ciò non dovesse accadere, se il muro dovesse rimanere eretto, questo avverrà solo grazie alle erbe selvatiche, alle radici ribelli, sottili, ma forti come calce. La vita rende vivo tutto ciò che sfiora. Le crepe d’oro diventano suture rigogliose.

Dopo anni di stenti e di impegno per creare una meraviglia, non rimane che un rudere selvatico mangiato dal bosco. Tanta fatica per costruire mondi e opportunità sfumate nel ventre primitivo.

Tip tap

La musica, la musica entra nelle vene, scorre tra le arterie e rompe i bronchi in un impeto di allegria senza confine. E senza confine sono anche la gioia e la forza del cuore che non vuole conoscere riposo. Il ritmo era sovrano, la ragione si era sopita.

Tip tap

Che strano suono si stava spandendo nell’aria e tra i presenti. I problemi si facevano piccoli cardellini racchiusi in gabbie e silenziati da una risata di bambino. Tutto cambiava, la prospettiva mutava, come se il cannocchiale della vita fosse stato girato. Gli occhi si sgranavano stupiti di tali mutamenti.

A poco a poco la speranza che quello fosse il vero mondo, che tutto postesse risolversi in movenze scomposte, da chimera assumeva un aspetto sempre più reale. Eppure è solo una banale musica.

Tip tap

Se tutto fosse così semplicemente mozzafiato come un ballo, la vita sarebbe degna di essere danzata.