Radici

C’era una stanza abbandonata in un enorme edificio in cui erano stati nascosti oggetti di ogni sorta dimenticati da anni di disattenzioni e di piccole vendette. Foto di persone che vivano solo sulla carta, telefoni che non ricevevano più chiamate, ombrelli, piccoli gioielli. E persino un’armonica, qualche libro, giochi di bambini e lettere che parlavano di amori, di debiti e di ricatti.

L’uomo dimentica tutto, non sempre volontariamente, ma spesso con la consapevolezza che dimenticare permette di respirare. La stanza era semplicemente un deposito di cianfrusaglie che un tempo erano state nelle mani calde di vita. Ora giacevano in un cimitero di ricordi.

In questa desolazione, però, c’era della vita. Nel sostrato di morte e corruzione affondavano delle radici fragili, sottili, nelle quali scorreva prepotente una vita flebile che con grazia e tenacia si inerpicava su cumuli scuri per raggiungere un raggio ramingo di sole.

Ci sono cose

“Ci sono cose, come ha detto il saggio Salomone… Per esempio, un giorno passavo da un piccolo villaggio. Un vecchierello di novant’anni stava piantando un mandorlo. ‘Ehi’, gli faccio, ‘pianti un mandorlo?’ E lui, curvo com’era, si voltò e mi disse: ‘Io, figliolo, mi comporto come se fossi immortale!’ ‘E io’, gli risposi, ‘mi comporto come se dovessi morire da un momento all’altro.’ Chi dei due aveva ragione, padrone?”

Mi guardava con aria trionfale: “Qui ti voglio!” disse.

Io tacevo. Ugualmente ripidi e giusti, entrambi i pensieri possono portare alla vetta. Agire come se non esistesse la morte e agire avendo presente in ogni istante la morte è forse la stessa cosa; ma allora, quando me lo chiese Zorba, non lo sapevo.

Nikos Kazantzakis, Zorba il greco, Crocetti editore

Il primo passo

Perché mai scegliesti di compiere quel primo passo? Di scendere con balzo sulla terra straniera, su un lido che troppo presto si è bagnato con il tuo sangue?

Sono Laodamia, moglie di Protesilao. Dei, vi scongiuro, lasciatemi sentire per un’ultima volta la cara voce di un guerriero che ha scelto di morire. Lo avevano predetto, e la veloce mano di Ettore lo ha realizzato. Sventura avvolgerà anche l’eroe della città.

Nessuno ha osato porre piede su quella terra maledetta. Nessuno. Solo tu.

Laodamia, perché piangi? Sono solo profezie, sono solo leggende. Laodamia, vattene. La vita viene corrosa dall’oltretomba, il rimpianto porta piu vicini alla fine.

Protesilao, è forse tua questa voce? Quindi gli dei hanno ascoltato. In questo giorno di primavera un brivido mi percorre. E desidero solo te, mio amato.

Ho dato il via a una guerra, il mio è stato il primo sangue versato, ma ne seguirà altro. Sento già i pianti e vedo i pallidi spiriti di chi ha la bocca piena di polvere. Figli di dei e di re si trascinano assieme a umili contadini, travolti da un destino che non conosce differenze di nascita.

Ti seguirò, Protesilao. Verrò anch’io in quella sponda su cui non risplende il sole. Neppure qui il sole mi riscalda, ormai.

Laodamia, non sta bene parlare con i morti. Dimentica e vai avanti. Laodamia.

Protesilao. Ho deciso ormai.

Alcesti

La fama è una leonessa: stupenda, ma potenzialmente letale.

Per la fama ho affrontato la morte. Lo so, molti diranno che la mia scelta è stata dettata dall’amore per mio marito, ma si sbagliano. Guardatelo, quell’uomo potente e ammirato accetta di mandare me, una donna, a morire al suo posto. È avido di vita, e mi chiede di pagare il prezzo di un amore che non è mai esistito.

Mi mancheranno le risate dei piccoli.

Mi fa ridere quel nano. Neppure suo padre cederebbe un giorno sulla terra per salvarlo. Dicono entrambi che hanno di meglio da fare che visitare il Tartaro. Molti la pensano come loro. Anch’io, a pensarci bene.

E io? Io mi vendico. Di chi si ricorderanno, di Admeto forse? O di Alcesti? Io vi dimostro cosa sia il coraggio.

Mi mancheranno i raggi tiepidi del sole.

Ora tra le ombre sono ombra, e ombra sarò anche se questo viandante con la pelle da leone riuscirà nell’intento di calmare l’animo del vivo Admeto.

Riflesso

Davvero sono io? Quella figura riflessa mi rappresenta?

La scorgo sul metallo dorato, plasmata in mille figure, deformata dal lungo serpente di Oceano, incrinata dalle città, quella in guerra e quella in pace. Mossa dai movimenti di un giovane ballerino.

Un manufatto stupendo, divino, dono di mia madre. Ma ora che lo guardo da vicino vedo anche me. Io, il possessore di questo scudo, sono diventato un suo strumento.

Mi rimanda la pallida immagine di un giovane uomo, avvenente, certo, ma con gli occhi opachi, spenti. Sono gli occhi di chi sa che la sua morte è vicina. Gli occhi di chi si è arreso al fato.

È stato deciso che non vivrò a lungo. Scontato per noi eroi.

È stato deciso che una freccia ingannatrice mi ucciderà. Scoccata da un vile e guidata da un dio.

È stato deciso.

Ho tentato di fuggire a questo volere, ma non è valso a nulla. Ho solo ucciso un padre. Ho solo mandato a morire un altro giovane. Il mio amato.

Va bene, mi piego al vostro volere. Dopotutto, perché resistere? Per chi scappare? Ho perso tutto. Sono solo. Mi è rimasta solo questa vuota gloria da difendere. Non tornerò a casa. Non canterò le gesta di altri eroi. Darò anche la mia vita per una questione inutile.

E sia. Morirò solo. Morirò da mortale.

Specchio di verità. Parte 3: il disertore

Fuggì sempre più lontana, cercando il conforto negli alberi ma con il timore di perdersi in quel bosco incantato. Infine si ritrovò in una raduna dove vide un cavallo fulvo che pascolava tranquillo. Vicino, appoggiato ad un albero nodoso, si riposava un uomo.

Erano passati molti giorni, ormai,da quando era partito di soppiatto da casa portando con sé quel cavallo. Era un semplice ronzino, ma lo spronò a cavalcare veloce come il vento, per allontanarsi da quel paese. Il suo destino era quello di ingrossare le file dell’esercito, di obbedire al suo re, di spezzare le vite dei nemici, o dare la sua, nel caso la mano avesse esitato.

Tuttavia, non voleva uccidere, non voleva sentire il suono delle armi, l’odore del sangue, i rantoli, il rombo dei corni. Era fuggito con il solo cavallo, era scappato dalla morte, dal padre, dalla guerra. Ad un’altra signora si addiceva il compito di interrompere un’esistenza.

Disertore, lo chiamavano. Quella parola lo feriva come mille lance.

Gli avevano detto che anche su un campo di battaglia il grano avrebbe potuto rinascere. Ma lui provava orrore per quella natura pronta a nutrirsi dei resti delle sue stesse creature per dare nuovi frutti. Trovava insopportabile quel circolo violento che sentiva stringersi attorno.

Disertore. Una parola che lasciava un bocca un gusto di ferro, di polvere. Gli aveva aperto una ferita profonda, lo aveva lacerato facendogli perdere lentamente ogni goccia di amore vitale. Un lento stillicidio lo aveva ridotto allo stremo, proprio lui, che per rispetto della vita non aveva voluto uccidere.

Disertore. Vile, canaglia, traditore.

Disertore.

L’aria innondava i polmoni, il cuore batteva, il sangue scorreva, ma il nulla lo avvolgeva.

Aprì gli occhi, e si vide minuscolo riflesso in due frammenti di cielo azzurro. Fu un solo istante. Poi la ragazza si ritrasse,tirò un lembo del fagotto che teneva in mano e gli mostrò il contenuto.

“Cosa vedi?”

Era la voce rica di chi non era abituato a parlare.

Vide una terra lontana, che non portava il peso di costruzioni.vide una vasta pianura recintata solo da monti. Sapeva che piede umano non aveva contaminato quei luoghi. La violenza non aveva lasciato la sua striscia di fuoco e distruzione.

“Dov’è? Dimmi dov’è. Te ne prego”.

Il silenzio fu la sola risposta.

“Chi sei? Aspetta, rispondi, cosa significa?”.

Solo l’erba gli rispose con un pigro fruscio.