Da solo – Giorno 11

Devo aver preso un bel colpo alla testa se non riesco a ricordare la scritta del posto in cui mi ero fermato. Era davvero enorme, svettava in cima con lettere che sembravano giganti messi in fila. Non era molto lunga, e forse non era solo una parola, ma due. Poi non riesco più a mettere a fuoco nulla. Anche l’interno della struttura rimane un mistero. Meglio lasciar perdere, per ora: sembra che non riesca a ottenere nient’altro se non un gran mal di testa.

Tornando a noi. Il fiumiciattolo sta diventando più sottile e più irruento, buon segno: vuol dire che mi sto avvicinando alla fonte, alla mia meta. Quello di non avere una meta è sempre stato un difetto che Clara mi rinfacciava. Secondo la mia adorata ragazza mi muovevo come un automa, facevo solo il compito che mi veniva affidato, quello che ci si aspettava da me, nulla di più, nessuna ambizione. È probabile che il suo carattere irruente l’abbia spinta a considerare il mio amore per la tranquillità una debolezza di indole. Ma non siamo fatti tutti allo stesso modo, per cui, cara Clara, sarebbe stato meglio dividere le nostre strade prima.

Questo posto mi piace, soprattutto ora che non incontro strani animali parlanti. Quando cercavo di calmarmi raffigurandomi un luogo ideale, mi immaginavo proprio una spiaggia con alle spalle una verdeggiante macchia di alberi. Mi viene persino il dubbio di aver subito un qualche incidente e di essere in bilico sulla voragine della morte. Eppure non sento alcun dolore. Meglio che faccia la mia camminata quotidiana, in modo da rischiararmi la mente e allontanare questi pensieri.

La sera ha sempre qualcosa di speciale, una sorta di magia che porta le tenebre, soprattutto qui, dove nasce il mio liquido compagno di viaggio. È una bella raduna, con al centro una sorta di masso da cui scaturisce una fresca acqua pura, che sembra poter lavar via ogni tristezza e ogni pensiero. Ora basta solo trovare un nuovo obiettivo.

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Sogno

Ho galleggiato sopra terre sconosciute, un’accozzaglia di luoghi visti e mutati, immaginati e dipinti. Ho viaggiato su terre multicolori, e altre oscure e tenebrose. Mi muovevo lentamente, come una piuma che venga sospinta da leggere brezze incapaci di spostare una foglia. Volteggiavo come se non avessi peso, e di tanto in tanto sfioravo quel mondo di cristallo per poi essere sospinto un po’ oltre.

Questo mondo ha delle regole peculiari, che non possono essere racchiuse in quelle della fisica. D’altronde la fisica stessa conosce i propri confini, oltre i quali ci sono poco più che ipotesi. Ebbene, in queste terre le ipotesi sono il reale, il reale è un’ipotesi, le certezze svaniscono come bolle di sapone, lasciando solo un dolce profumo e gocce multicolori.

Ho galleggiato come un palloncino preso a una fiera e sfuggito alla mano sporca di zucchero di un bambino. L’odore di festa è rimasto sospeso in aria, ma svanirà, per lasciare il posto a un vago sentore di tempesta, che porterà quella goccia di aria e sogni ancora un più lontano, fino a quando non esploderà lanciando in aria con un grido i sogni di una giostra festosa.

Punti nel cielo

Luc guardava il cielo ini continuazione, ogni volta che ne aveva l’occasione, anche quando parlava con qualcun altro. Da piccolo aveva visto dei punti multicolori che galleggiavano silenziosi. Non sembrano neppure muoversi, eppure lentamente avanzavano spinti dal calore del fuoco e dalla forza del vento.

Mongolfiere, gli aveva spiegato il padre.

Da allora Luc era diventato un cacciatore di mongolfiere. Ovunque fosse, in qualsiasi situazione si trovasse, sperava di intravvedere quei cesti sospesi nel vuoto, quegli impavidi giganti d’aria e calore che osavano sfidare il cielo e il vento.

Un giorno, pensava Luc, salirò sulle mongolfiere e vedrò il mondo intero piccolo come ossa di formica.

Le mongolfiere portavano i sogni di Luc in ogni angolo del mondo, e li sganciavano come fantasiose zavorre in terre lontane, che Luc poteva solo immaginare nelle sue avventure di bambino. L’uomo poteva volare, poteva starsene sospeso in alto e rimpiangere il suolo.

Intanto Luc non sa ancora se il suo desiderio verrà realizzato. Si limita a scrutare il cielo in cerca dei suoi sogni di ritorno da un’avventura esotica.

Il fabbricante di bambole – Pt. 14 FINE

“Faber, guardami. Come hai chiesto, la principessa. Ma ti prego, ragiona. Ciò che è stato è stato, e non può essere modificato. Sono leggi che valgono ovunque. Vivere nella memoria, rifugiarsi nel sogno non risolve il problema”.

“Nestor, credo a quello che vedono i miei occhi. Lei è là, vicino a te. Per questo me la volevi tenere lontana? Perché siete stati voi a rapire Eleonor, esattamente come avete fatto con me?”

“Eleonor non è prigioniera del sogno, Faber. Eleonor ha dovuto imboccare un’altra strada. Ma non appartiene a Ipnia”.

“Faber, la tua bambola è un vanto per Ipnia stessa. Mi hai onorato realizzandola così perfettamente”. La voce leggera come una farfalla si posò sull’animo ferito di Faber, che si piegò come una fiera domata.

“Perché mi fate questo?”

“Faber, non siamo noi a farti questo. Questo male dipende solo da te. Questa volta sei tu a poter decidere. L’equilibrio è stato ripristinato, puoi tornare al tuo laboratorio. Le bambole di Ipnia ci garantiranno la sopravvivenza ed eviteranno che la tua realtà venga contaminata, che le fragili anime dei sognatori si incrinino”.

“Eleonor, mi stai dicendo che posso andare? Perché? Proprio ora che ti ho ritrovata”.

“È solo un’illusione, Faber. Se tu lo volessi, la principessa potrebbe assumere un altro aspetto”.

“Taci Nestor. Mi hai sempre ingannato. Mi hai privato di Eleonor”.

“Nestor è un fedele servitore. Non esiste alcuna Eleonor a Ipnia. Torna nel tuo mondo Faber, lascia che il sogno faccia il suo corso. Continua a vivere. Tornerà il momento in cui ci rivedremo. Arriverà il giorno in cui potrai parlare con Eleonor. Ma devi fare ancora qualcosa”.

“Faber, è ora di andare”.

“Eleonor…”

“Faber… Faber. Faber!”

L’artigiano si guardò attorno. Le bianche mura del palazzo erano scomparse, e davanti a lui non c’era Eleonor, e neppure Nestor, solo la vecchia madre che lo guardava curiosa.

“I clienti aspettano”.

Il fabbricante di bambole – Pt. 13

Materia ineffabile il sogno, in pochi attimi si può trasformare in un incubo. L’avventura di Faber si stava rivelando più pericolosa del previsto, soprattutto per la sua volontà di vedere ciò che non avrebbe dovuto. Ci sono leggi ed equilibri che devono essere mantenuti, glielo aveva fatto capire Nestor, ma la curiosità, o la disperazione, possono mettere in comunicazione dimensioni indipendenti.

Eleonor non c’era più, faceva parte della polvere del passato, un semplice ricordo relegato in un angolo del cuore. Faber si era ribellato a questa evidenza, aveva visto nella prima bambola, quella appartenuta alla ragazza, un frammento della risata cristallina, lo scintillio dello sguardo sognante, il respiro di una vita strappata troppo presto. L’uomo tranquillo, fatto di terra e di sassi, aveva rifiutato la realtà, e si era creato un mondo di bambole e fate, di ragazze sorridenti e perfette che non lo avrebbero mai abbandonato.

Faber aveva voluto rendere immortale Eleonor, facendole vivere quelle mille vite tra le quali avrebbe dovuto scegliere se solo ne avesse il caso le avesse concesso questa possibilità. Il fabbricante aveva costruito con le sue mani e la sua disperazione un inganno che aveva la parvenza di sogno.

Ma se Eleonor non era più viva, perché se la trovava là davanti, fianco a fianco a Nestor?

Il fabbricante di bambole – Pt. 12

Forse Nestor aveva esagerato un po’ con la descrizione della principessa. Non era una creatura comune, e non era nemmeno la bambina che Faber si immaginava. In effetti anche Nestor non avrebbe potuto descrivere con esattezza la natura ineffabile della principessa di Ipnia. D’altronde, tutto a Ipnia era soggetto a un mutamento che nel mondo reale è completamente sconosciuto.

La principessa talvolta si trasformava in fanciulla per correre tra i prati, altre preferiva volare con aspetto di farfalla per assaporare al leggerezza e la forza del vento, altre ancora si lasciava scivolare nell’acqua come un delfino pronto a godersi la spuma delle onde. Per alcuni era una giovane che sorrideva, per altri una donna dagli occhi scintillanti.

Ciò che Nestor temeva, era che Faber riversasse sulla principessa i ricordi di Eleonor. Il disegno di fata e la bambola che ne era derivata lasciava pochi dubbi a riguardo. Per quanto Faber non sembrasse esserne pienamente coscienza, facendo la conoscenza della principessa, si sarebbe pericolosamente avvicinato alla realizzazione del suo sogno più profondo: rivedere, sentire ancora una volta Eleonor.

E questo avrebbe portato Faber alla pazzia.

Il fabbricante di bambole – Pt. 10

Faber non aveva agito consciamente. Aveva solo cercato di superare un trauma, e quando si è accecati dal dolore e dalla rabbia si corre il pericolo di compiere dei gravi errori, delle enormi sciocchezze. E il fatto che questo gli avesse portato un lavoro soddisfacente e ben remunerato non era un aspetto da sottovalutare. Faber non si era preoccupato delle conseguenze, convinto che di conseguenze non ce ne fossero.

Quindi da vittima era diventato il responsabile della possibile scomparsa di Ipnia. Ancora non riusciva a capire. Se anche tutto quella follia fosse stata vera, e non una semplice creazione del suo carceriere, Nestor, allora perché non avvisarlo semplicemente? E se non era in un luogo fisico, che cosa era Ipnia? Un frutto della sua mente sconvolta?

Faber temeva di essere impazzito. Nestor sfruttava la pazzia di Faber per riequilibrare la ragione e la logica terrena con i voli senza senso su cui galleggiava il suo mondo. Se il suo piano non fosse funzionato, Ipnia sarebbe collassata, la terra di Faber non avrebbe avuto particolari conseguenze, ma alcune anime si sarebbero infrante come cristalli troppo deboli per una realtà senza fantasia.

Il fabbricante di bambole – Pt. 8

Ipnia era una città, capitale di un regno che Faber non avrebbe trovato in nessuna mappa esistente. Faber non se ne sarebbe reso conto: la sua conoscenza del mondo si limitava ai confini ristretti del suo paesaggio. Erano le bambole a viaggiare, mentre lui rimaneva fisso come una lanterna sul bordo di un immenso oceano.

L’immensità su cui Faber si affacciava era quella del sogno, il segreto che rendeva le sue bambole così speciali e uniche. In ognuna di queste creature inanimate inseriva un frammento della sua adorata Eleonor, il sogno di quella fanciulla che un giorno si era svegliata ed era svanita in un mondo di fango e malattie. Nella bambola di ebano che Faber stava ultimando prima dell’arrivo di Nestor, Faber aveva racchiusa pensieri scaldati da un sole estraneo, più feroce e vivo di quello del villaggio, sogni ruggenti occhi felini che come ambra scintillavano nell’oscurità. Aveva tessuto la fata della principessa con mondi fantastici popolati di colori cangianti e musiche che ancora orecchio umano non aveva conosciuto.

Questa immensità infine aveva sommerso Faber, come un’onda incontrollata. L’artigiano non se ne era nemmeno reso conto, ma Ipnia non solo lo aveva conquisto, ma pretendeva da lui un contributo per mantenere l’equilibrio.