Il fabbricante di bambole – Pt. 10

Faber non aveva agito consciamente. Aveva solo cercato di superare un trauma, e quando si è accecati dal dolore e dalla rabbia si corre il pericolo di compiere dei gravi errori, delle enormi sciocchezze. E il fatto che questo gli avesse portato un lavoro soddisfacente e ben remunerato non era un aspetto da sottovalutare. Faber non si era preoccupato delle conseguenze, convinto che di conseguenze non ce ne fossero.

Quindi da vittima era diventato il responsabile della possibile scomparsa di Ipnia. Ancora non riusciva a capire. Se anche tutto quella follia fosse stata vera, e non una semplice creazione del suo carceriere, Nestor, allora perché non avvisarlo semplicemente? E se non era in un luogo fisico, che cosa era Ipnia? Un frutto della sua mente sconvolta?

Faber temeva di essere impazzito. Nestor sfruttava la pazzia di Faber per riequilibrare la ragione e la logica terrena con i voli senza senso su cui galleggiava il suo mondo. Se il suo piano non fosse funzionato, Ipnia sarebbe collassata, la terra di Faber non avrebbe avuto particolari conseguenze, ma alcune anime si sarebbero infrante come cristalli troppo deboli per una realtà senza fantasia.

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Il fabbricante di bambole – Pt. 8

Ipnia era una città, capitale di un regno che Faber non avrebbe trovato in nessuna mappa esistente. Faber non se ne sarebbe reso conto: la sua conoscenza del mondo si limitava ai confini ristretti del suo paesaggio. Erano le bambole a viaggiare, mentre lui rimaneva fisso come una lanterna sul bordo di un immenso oceano.

L’immensità su cui Faber si affacciava era quella del sogno, il segreto che rendeva le sue bambole così speciali e uniche. In ognuna di queste creature inanimate inseriva un frammento della sua adorata Eleonor, il sogno di quella fanciulla che un giorno si era svegliata ed era svanita in un mondo di fango e malattie. Nella bambola di ebano che Faber stava ultimando prima dell’arrivo di Nestor, Faber aveva racchiusa pensieri scaldati da un sole estraneo, più feroce e vivo di quello del villaggio, sogni ruggenti occhi felini che come ambra scintillavano nell’oscurità. Aveva tessuto la fata della principessa con mondi fantastici popolati di colori cangianti e musiche che ancora orecchio umano non aveva conosciuto.

Questa immensità infine aveva sommerso Faber, come un’onda incontrollata. L’artigiano non se ne era nemmeno reso conto, ma Ipnia non solo lo aveva conquisto, ma pretendeva da lui un contributo per mantenere l’equilibrio.

Equilibrio

Anche una farfalla muove il ramo su cui si posa. Vanessa guardava le piccole fate alate che volteggiavano scherzose nel giardino, e si sentiva ancora più pesante.

Aveva cercato l’equilibrio, aveva tentato di trovare il suo ramo sul quale trovare riparo, ma si era posata sempre su terreni argillosi, che franavano al minimo tocco. Non era riuscita a posarsi senza distruggere il sostegno.

Ora guardava quella farfalla, che si molleggiava pigramente sul ramo mosso dall’alito delle ali, e sognò anche lei di avere quella capacità, di ammantarsi di colori sgargianti, di arancio e oro, per poi litigare con il vento e deridere la terra, amare il polline e fare l’occhiolino al sole.

La farfalla si allontanò. Il ramo tornò al suo posto. Tutto era tornato come prima.

Un filo sospeso nel nulla

Cammini in bilico su un filo di seta. Sottile e tagliente, lascia sottile e fastidiosi segni sui piedi nudi.

Sotto un baratro nero, dietro una grigia piattaforma, davanti una nebbia fredda che nasconde l’arrivo.

Il passo si fa pesante. A volte ti fermi. Il bilanciere in mano diventa un intralcio, un fastidioso fardello.

Il vento ti scuote, ti fa oscillare.

Il vuoto ti chiama sé, allettante come può esserlo solo l’oblio. Subdoli sussurri suggeriscono la soluzione più facile: abbandonare quel filo di dolore, rifugiarsi nel nulla.

Ma tu procedi. Stringi il labbro, facendolo sanguinare.

Un passo dopo l’altro. Con una lentezza esasperante, ma avanzi.

Non inchinare la testa. Anche se la stanchezza è piombo sulle spalle, non inchinarti. Alza gli occhi, guarda fieramente davanti.

Avrai la forza di danzare come un giocoliere sul filo. Equilibrista della vita, rifuggirai quelle comode e banali sicurezze che lasci alle spalle.

È ora di volare. Di fendere la nebbia con la tua determinazione. Di urlare al mondo la tua rabbia e le tue paure, di fare della tua debolezza una forza.

E allora il vento diverrà una brezza benevola.