E quando meno te lo aspetti

Eh, niente, il gatto morto.

Che gatto?

Non lo so, so solo che il gatto è morto. Un gatto qualsiasi, di un padrone qualsiasi, di una qualsiasi parte del mondo. Il gatto è morto.

Sicura di stare bene?

Io, certo, il gatto morto un po’ meno, o forse sta bene pure lui. Il fatto è che da qualche parte un gatto è morto. Forse nell’indifferenza di tutti. Ha fatto la sua vita, ha miagolato, ha lottato, si è lustrato il pelo e ha corteggiato gattine. E poi basta, si è lasciato cadere in un angolo lontano da occhi indiscreti, e solo, senza rimpianti e senza nemmeno troppo pensarci, il gatto è morto. Inutile piangerci sopra, inutile inalberare quella faccia sconsolata. La verità è questa.

La mia faccia sconsolata è per la tua salute mentale.

Ormai quel che è fatto è fatto. Non si può riportare in vita il gatto. Non si può riavolgere il tempo. Ormai che il gatto è morto, non si può fare niente. In realtà, non si è potuto mai fare niente. Non è vero?

Messa così, certo, hai ragione.

E allora ammettiamolo: ormai che è andata così, non stiamo a pensarci troppo.

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Da solo – Giorno 16 Real Game – FINE

L’ultimo soggetto si è dimenticato del suo diario, che è stato rimosso dalla sua versione virtuale. Il comportamento si è normalizzato. Il recupero dei ricordi si è interrotto, nessuna traccia della stanza delle prove in cui sono presenti i centoventisei soggetti. Nonostante sembrasse spaventato dall’austerità della stanza, ha completato il ciclo di preparazione e ha indossato il visore.

Nella stanza non si sentono rumori, solo un ronzio del ricambio d’aria che permette di mantenere una temperatura ideale e costante. Solo di tanto in tanto qualche giocatore emette un suono inarticolato, per qualche incontro inaspettato nel proprio mondo, di piacere o di dolore.

Nella stanza entravano solo i nuovi adepti per i quali venivano aggiunte delle poltrone, e il personale, che si occupava a riempire le sacche di alimentazione collegate ai giocatori e a occuparsi dell’igiene degli stessi. Per il resto, regnava una tranquillità assoluta.

Nella sua raduna, poco lontano dalla spiaggia, Andrea si dilettava a mangiare frutti e a tuffarsi nel fiume di risorgiva senza più preoccupazioni, dimentico di Clara e persino del suo nome. La sua mente non si poneva domande su come fosse finito in quel posto. Aveva accettato la sua situazione, l’aveva trasformato un’abitudine così confortevole da poterne più fare a meno. La scritta Real Game sull’edificio anonimo scomparve del tutto, anche se talvota alvrebbe giurato di aver sentito una mano fugace che gli tastava il braccio.

Poco lontano Clara viveva la sua vita piena di avventura che aveva sempre desiderato. Non fece più incursione nel mondo di Andrea, di cui aveva dimenticato l’esistenza. La nonna di Andrea, nelle prime file, si immaginava di galleggiare in aria come un lucciola, sorretta da una famiglia calorosa e di successo, quella che aveva sempre sognato e mai avuto. Venne svegliata ancora sognante quando i paramentri iniziarono a essere preoccupanti e trasferita in una struttura adatta con la diagnosi di demenza e deperimento.

Nei loro mondi i soggetti erano felici, e sulla bocca di tutti aleggiava un sorriso di beatitudine difficile da vedere nella realtà. Ma il loro guscio di serenità non era che un’illusione in una spoglia stanza di cemento.

Quando gli investigatori entrarono a Real Game, si chiesero quali sarebbero stati gli effetti di svegliare questi sognatori di felicità.

Da solo – Giorno 15 Real Game

Noi della Real Game crediamo che la realtà virtuale possa diventare più di un semplice passatempo, di una tecnologia apprezzabile, ma di cui si può fare a meno. Per noi la realtà virtuale ha un alto potenziale per tutte quelle persone che non riescono a trovare un posto nel mondo fisico. Quante volte avete pensato di non essere adatti all’epoca in cui vivete, di non capire che cosa stia succedendo? Quante volte avete avuto l’impulso di lasciar perdere tutto e fuggire?

Per la maggior parte delle persone questo desiderio è realizzabile, è solo una chimera che distrugge lentamente il soggetto con il suo ardente respiro, un sogno che corrode e logora. Ma non da noi. Noi raccogliamo le anime perse, vecchi e giovani, persone talentuose e persone nella media, e diamo loro una possibilità. Per ottenere ciò che davvero vogliono, devono solo sottoscrivere un contratto e provare i prodotti che offriamo. Una firma, e il cambiamento tanto desiderato diventerà realtà.

Almeno ai loro occhi.

Per il mondo esterno i soggetti cesseranno di esistere: grazie al nostro supporto, interromperanno ogni rapporto lavorativo e sentimentale, in modo da potersi dedicare ai prodotti Real Game, che in realtà, come suggerisce il nome, si riducono a un solo prodotto. Il migliore sul mercato. A questo punto il soggetto può scegliere se dimenticare il suo passato, almeno in parte. Molti scelgono questa strada, anche se alcuni, come l’ultimo entrato, cercano in un secondo momento di recuperare i ricordi. Talvolta ci riescono, ma continuano il loro lavoro senza problemi. Solo in rari casi è stato chiesto il reintegro nella società, che è avvenuto con la massima discrezione.

Teniamo monitorati i parametri vitali e gli stimoli celebrali dei partecipanti. Da quando indossano il visore, è stato notato che, dopo un iniziale smarrimento, migliorano in modo netto il loro umore. Il vero problema è il fisico, che si infiacchisce, perde tono. I veterani non riuscirebbero nemmeno a reggersi in piedi qualora decidessero di andarsene. Stiamo valutando di inserire delle poltrone attive, che permettano delle simulazioni di camminata.

Metamorfosi quotidiane

Dafne è diventata un albero, senza emettere un suono, senza nemmeno accorgersi. Le sue gambe che stavano fuggendo da Apollo si sono ancorate alla terra, il suo corpo flessibile è mutato in corteccia ruvida e le dita affusolate si sono allungate in rame. Dafne non esiste più, la sua anima ora scorre come linfa nel tronco in un lauro silente. E ad Apollo non resta che il ricordo di una ninfa disinteressata e di una caccia senza onore.

Gli animi cambiano, c’è chi diventa albero, chi pianta, chi invece roccia o animale. Per lo più non sono cambiamenti momentanei, ma permangono nell’eternità. Una fonte è una madre privata dei suoi figli, un fiore zampilla dal sangue di un giovane ucciso dall’invidia, la voce dei monti non è che un’innamorata che non trova requie.

Per quanto irreversibili, talvolta le metamorfosi avvengono a gradi, compiono piccoli passi verso la stabilità. È come se la forma di partenza versasse in uno stato di irrequieta instabilità e cercasse, mutando, di ritrovare un equilibrio in cui passare il resto della propria esistenza. Piccole mutazioni che portano quella signora a disinteressarsi al mondo di fuori, a rinunciare alla curiosità, per poi trasformarsi in sasso. Mentre quell’altro uomo continua a emettere un suono senza senso, ma insistente e petulante. Ronza, ronza e si muove in traiettorie concentriche, senza mai allontanarsi troppo dal destinatario delle sue attenzione. Ecco che quest’uomo diventa mosca. D’altro canto, non tutti i bruchi riescono a diventare farfalle.

Le metamorfosi delle fiabe sono palesi, urlano a divinità e mortali che nel cambiamento la loro natura è stata preservata, nel mondo reale, le metamorfosi si riducano a piccole gocce, che con costanza riescono a creare un solco anche nelle rocce più resistenti.

Il fabbricante di bambole – Pt. 14 FINE

“Faber, guardami. Come hai chiesto, la principessa. Ma ti prego, ragiona. Ciò che è stato è stato, e non può essere modificato. Sono leggi che valgono ovunque. Vivere nella memoria, rifugiarsi nel sogno non risolve il problema”.

“Nestor, credo a quello che vedono i miei occhi. Lei è là, vicino a te. Per questo me la volevi tenere lontana? Perché siete stati voi a rapire Eleonor, esattamente come avete fatto con me?”

“Eleonor non è prigioniera del sogno, Faber. Eleonor ha dovuto imboccare un’altra strada. Ma non appartiene a Ipnia”.

“Faber, la tua bambola è un vanto per Ipnia stessa. Mi hai onorato realizzandola così perfettamente”. La voce leggera come una farfalla si posò sull’animo ferito di Faber, che si piegò come una fiera domata.

“Perché mi fate questo?”

“Faber, non siamo noi a farti questo. Questo male dipende solo da te. Questa volta sei tu a poter decidere. L’equilibrio è stato ripristinato, puoi tornare al tuo laboratorio. Le bambole di Ipnia ci garantiranno la sopravvivenza ed eviteranno che la tua realtà venga contaminata, che le fragili anime dei sognatori si incrinino”.

“Eleonor, mi stai dicendo che posso andare? Perché? Proprio ora che ti ho ritrovata”.

“È solo un’illusione, Faber. Se tu lo volessi, la principessa potrebbe assumere un altro aspetto”.

“Taci Nestor. Mi hai sempre ingannato. Mi hai privato di Eleonor”.

“Nestor è un fedele servitore. Non esiste alcuna Eleonor a Ipnia. Torna nel tuo mondo Faber, lascia che il sogno faccia il suo corso. Continua a vivere. Tornerà il momento in cui ci rivedremo. Arriverà il giorno in cui potrai parlare con Eleonor. Ma devi fare ancora qualcosa”.

“Faber, è ora di andare”.

“Eleonor…”

“Faber… Faber. Faber!”

L’artigiano si guardò attorno. Le bianche mura del palazzo erano scomparse, e davanti a lui non c’era Eleonor, e neppure Nestor, solo la vecchia madre che lo guardava curiosa.

“I clienti aspettano”.

Il fabbricante di bambole – Pt. 13

Materia ineffabile il sogno, in pochi attimi si può trasformare in un incubo. L’avventura di Faber si stava rivelando più pericolosa del previsto, soprattutto per la sua volontà di vedere ciò che non avrebbe dovuto. Ci sono leggi ed equilibri che devono essere mantenuti, glielo aveva fatto capire Nestor, ma la curiosità, o la disperazione, possono mettere in comunicazione dimensioni indipendenti.

Eleonor non c’era più, faceva parte della polvere del passato, un semplice ricordo relegato in un angolo del cuore. Faber si era ribellato a questa evidenza, aveva visto nella prima bambola, quella appartenuta alla ragazza, un frammento della risata cristallina, lo scintillio dello sguardo sognante, il respiro di una vita strappata troppo presto. L’uomo tranquillo, fatto di terra e di sassi, aveva rifiutato la realtà, e si era creato un mondo di bambole e fate, di ragazze sorridenti e perfette che non lo avrebbero mai abbandonato.

Faber aveva voluto rendere immortale Eleonor, facendole vivere quelle mille vite tra le quali avrebbe dovuto scegliere se solo ne avesse il caso le avesse concesso questa possibilità. Il fabbricante aveva costruito con le sue mani e la sua disperazione un inganno che aveva la parvenza di sogno.

Ma se Eleonor non era più viva, perché se la trovava là davanti, fianco a fianco a Nestor?

Il fabbricante di bambole – Pt. 12

Forse Nestor aveva esagerato un po’ con la descrizione della principessa. Non era una creatura comune, e non era nemmeno la bambina che Faber si immaginava. In effetti anche Nestor non avrebbe potuto descrivere con esattezza la natura ineffabile della principessa di Ipnia. D’altronde, tutto a Ipnia era soggetto a un mutamento che nel mondo reale è completamente sconosciuto.

La principessa talvolta si trasformava in fanciulla per correre tra i prati, altre preferiva volare con aspetto di farfalla per assaporare al leggerezza e la forza del vento, altre ancora si lasciava scivolare nell’acqua come un delfino pronto a godersi la spuma delle onde. Per alcuni era una giovane che sorrideva, per altri una donna dagli occhi scintillanti.

Ciò che Nestor temeva, era che Faber riversasse sulla principessa i ricordi di Eleonor. Il disegno di fata e la bambola che ne era derivata lasciava pochi dubbi a riguardo. Per quanto Faber non sembrasse esserne pienamente coscienza, facendo la conoscenza della principessa, si sarebbe pericolosamente avvicinato alla realizzazione del suo sogno più profondo: rivedere, sentire ancora una volta Eleonor.

E questo avrebbe portato Faber alla pazzia.

Il fabbricante di bambole – Pt. 10

Faber non aveva agito consciamente. Aveva solo cercato di superare un trauma, e quando si è accecati dal dolore e dalla rabbia si corre il pericolo di compiere dei gravi errori, delle enormi sciocchezze. E il fatto che questo gli avesse portato un lavoro soddisfacente e ben remunerato non era un aspetto da sottovalutare. Faber non si era preoccupato delle conseguenze, convinto che di conseguenze non ce ne fossero.

Quindi da vittima era diventato il responsabile della possibile scomparsa di Ipnia. Ancora non riusciva a capire. Se anche tutto quella follia fosse stata vera, e non una semplice creazione del suo carceriere, Nestor, allora perché non avvisarlo semplicemente? E se non era in un luogo fisico, che cosa era Ipnia? Un frutto della sua mente sconvolta?

Faber temeva di essere impazzito. Nestor sfruttava la pazzia di Faber per riequilibrare la ragione e la logica terrena con i voli senza senso su cui galleggiava il suo mondo. Se il suo piano non fosse funzionato, Ipnia sarebbe collassata, la terra di Faber non avrebbe avuto particolari conseguenze, ma alcune anime si sarebbero infrante come cristalli troppo deboli per una realtà senza fantasia.