Il gioco

Negli ultimi tempi c’è qualcosa che manca, l’ingrediente che, come il sale, rende interessante qualsiasi cibo, ne esalta i sapori e i piaceri: il gioco.

Il gioco è una parte fondamentale della vita, troppo spesso relegato all’infanzia. Il divertimento viene spesso ammantato di un significato negativo, di superficialità, soprattutto in alcuni ambienti in cui la risata viene considerata alla stregua di un peccato. E sarebbe proprio in quegli ambiti che una bella risalta sarebbe benefica. Ma spesso gli appartenenti si limitano alla canzonatura disprezzante di chi non appartiene alla propria cerchia, senza capire di essere loro stessi delle grottesche.

Il gioco rende lieve la vita, il gioco illumina anche la giornata più scura perché riesce a colorare le nebbie del cuore. Certo, l’importante è non scivolare nella buffoneria e nel circo.

Negli ultimi mesi è mancata proprio questa componente. Il mondo circostante si è fatto più opaco, come quando all’orizzonte si vedono le nuvole addensarsi. Si è affievolita una scintilla, soffocata da troppe preoccupazioni e da un’attesa che si è protratta da troppo tempo. L’attesa di un cambiamento che si sta facendo strada e che potrebbe allontanare, o per lo meno cambiare, quelle nuvole che si affrettano ad avvicinarsi.

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Da solo – Giorno 16 Real Game – FINE

L’ultimo soggetto si è dimenticato del suo diario, che è stato rimosso dalla sua versione virtuale. Il comportamento si è normalizzato. Il recupero dei ricordi si è interrotto, nessuna traccia della stanza delle prove in cui sono presenti i centoventisei soggetti. Nonostante sembrasse spaventato dall’austerità della stanza, ha completato il ciclo di preparazione e ha indossato il visore.

Nella stanza non si sentono rumori, solo un ronzio del ricambio d’aria che permette di mantenere una temperatura ideale e costante. Solo di tanto in tanto qualche giocatore emette un suono inarticolato, per qualche incontro inaspettato nel proprio mondo, di piacere o di dolore.

Nella stanza entravano solo i nuovi adepti per i quali venivano aggiunte delle poltrone, e il personale, che si occupava a riempire le sacche di alimentazione collegate ai giocatori e a occuparsi dell’igiene degli stessi. Per il resto, regnava una tranquillità assoluta.

Nella sua raduna, poco lontano dalla spiaggia, Andrea si dilettava a mangiare frutti e a tuffarsi nel fiume di risorgiva senza più preoccupazioni, dimentico di Clara e persino del suo nome. La sua mente non si poneva domande su come fosse finito in quel posto. Aveva accettato la sua situazione, l’aveva trasformato un’abitudine così confortevole da poterne più fare a meno. La scritta Real Game sull’edificio anonimo scomparve del tutto, anche se talvota alvrebbe giurato di aver sentito una mano fugace che gli tastava il braccio.

Poco lontano Clara viveva la sua vita piena di avventura che aveva sempre desiderato. Non fece più incursione nel mondo di Andrea, di cui aveva dimenticato l’esistenza. La nonna di Andrea, nelle prime file, si immaginava di galleggiare in aria come un lucciola, sorretta da una famiglia calorosa e di successo, quella che aveva sempre sognato e mai avuto. Venne svegliata ancora sognante quando i paramentri iniziarono a essere preoccupanti e trasferita in una struttura adatta con la diagnosi di demenza e deperimento.

Nei loro mondi i soggetti erano felici, e sulla bocca di tutti aleggiava un sorriso di beatitudine difficile da vedere nella realtà. Ma il loro guscio di serenità non era che un’illusione in una spoglia stanza di cemento.

Quando gli investigatori entrarono a Real Game, si chiesero quali sarebbero stati gli effetti di svegliare questi sognatori di felicità.

Da solo – Giorno 15 Real Game

Noi della Real Game crediamo che la realtà virtuale possa diventare più di un semplice passatempo, di una tecnologia apprezzabile, ma di cui si può fare a meno. Per noi la realtà virtuale ha un alto potenziale per tutte quelle persone che non riescono a trovare un posto nel mondo fisico. Quante volte avete pensato di non essere adatti all’epoca in cui vivete, di non capire che cosa stia succedendo? Quante volte avete avuto l’impulso di lasciar perdere tutto e fuggire?

Per la maggior parte delle persone questo desiderio è realizzabile, è solo una chimera che distrugge lentamente il soggetto con il suo ardente respiro, un sogno che corrode e logora. Ma non da noi. Noi raccogliamo le anime perse, vecchi e giovani, persone talentuose e persone nella media, e diamo loro una possibilità. Per ottenere ciò che davvero vogliono, devono solo sottoscrivere un contratto e provare i prodotti che offriamo. Una firma, e il cambiamento tanto desiderato diventerà realtà.

Almeno ai loro occhi.

Per il mondo esterno i soggetti cesseranno di esistere: grazie al nostro supporto, interromperanno ogni rapporto lavorativo e sentimentale, in modo da potersi dedicare ai prodotti Real Game, che in realtà, come suggerisce il nome, si riducono a un solo prodotto. Il migliore sul mercato. A questo punto il soggetto può scegliere se dimenticare il suo passato, almeno in parte. Molti scelgono questa strada, anche se alcuni, come l’ultimo entrato, cercano in un secondo momento di recuperare i ricordi. Talvolta ci riescono, ma continuano il loro lavoro senza problemi. Solo in rari casi è stato chiesto il reintegro nella società, che è avvenuto con la massima discrezione.

Teniamo monitorati i parametri vitali e gli stimoli celebrali dei partecipanti. Da quando indossano il visore, è stato notato che, dopo un iniziale smarrimento, migliorano in modo netto il loro umore. Il vero problema è il fisico, che si infiacchisce, perde tono. I veterani non riuscirebbero nemmeno a reggersi in piedi qualora decidessero di andarsene. Stiamo valutando di inserire delle poltrone attive, che permettano delle simulazioni di camminata.

I Vecchi Compari – Pt. 3 Luca, il mago dei numeri

A capo di quel ristretto gruppo di non proprio giovani promesse del gioco delle bocce vi era Luca, il matematico incallito, la mente calcolatrice, uno dei giocatori più apprezzati, e non solo per la sua abilità sportiva. Si dava il caso che Luca fosse sposato con donna Anna, Anna la bella, Anna la conquistatrice. Gli epiteti che contraddistinguevano la signora non erano mai volgari, perché, fin da giovane età, Anna si era contraddistinta per la sua innata sensualità. Sembrava che per lei conquistare uomini fosse uno sport migliore delle bocce stesse. La sua non era una bellezza aggressiva, non era di quelle donne che fanno voltare il capo. Era semplicemente la donna che tutti avrebbero voluto avere al proprio fianco: ironica, colta, con un sorriso che avrebbe smosso l’animo anche del più serafico santo. E quando cantava, avresti detto che gli angeli stessi del paradiso fossero scesi in terra. Un tantino esagerato, direte voi: eppure, provate a chiedere a Luca, o a Silvano. Anche Luigino, se potesse, vi racconterebbe dell’ineffabile bellezza di Anna. In effetti Luigino si dilungherebbe anche su qualche cosa d’altro, ma è meglio non indagare in questa sede. In ogni caso, gli anni non sembravano aver scalfito quel fascino, e Anna rimaneva una delle donne più desiderate e più sognate del paese.

Eppure, c’era qualcuno che proprio non sopportava Anna: erano le comari, quelle arcigne mogli che non sembravano mai essere state sfiorate dalla gioventù. Luca veniva considerato una sorta di zerbino, uno schiavo della moglie mangiatrice di uomini, anzi di mariti, i loro. Non abbiate mai l’ardire di nominare Anna davanti alla vedova di Luigino, a meno che non vogliate vedere un’arpia in carne e ossa: qualora abbiate l’ardire di fare una cosa così insensata, scappate, prima che vi cavi gli occhi.

In ogni caso, era Luca ad avere la fortuna di godere della bellezza e della arguzia di Anna. Non Luigino, che prima della dipartita poteva sperare di passare con la bella poche ore al mese, e neppure Silvano, che su Anna non aveva ancora posato un dito. Non sembrava neppure dispiaciuto del fatto che Luigino fosse stato trovato morto, a casa sua, sulla sua alcova, più svestito che vestito, in compagnia della sua mogliettina. In realtà non disse nessuna parola a riguardo. Muto, come il pesce che nuotava oziosamente nel suo salotto. Chissà di che cosa era stato testimone quel pesce! In ogni caso, Luca si presentò al funerale di Luigino, con affianco un’affranta moglie, pianse le lacrime necessarie per onorare un amico e un compagno, gettando, quindi, una tanica di benzina sul fuoco delle malelingue.

Anna a parte, Luca era anche conosciuto per la sua abilità con i numeri. In effetti, era laureato in matematica e insegnava la stessa materia nel liceo della vicina città. Questa sua passione tendeva, però, a sfociare nell’ossessione: i numeri avevano un significato preciso per Luca, la loro disposizione, la loro presenza avevano delle conseguenze. I numeri dispari o, peggio ancora, i numeri primi erano per lui intollerabili.

Tre aveva tutte le caratteristiche di un numero intollerabile, per cui bisognava portare la squadra al numero quattro o al due. Quest’ultima ipotesi non gli sarebbe dispiaciuto, soprattutto se avrebbe comportato l’allontanamento di Silvano. Ma non se la sentiva di fare squadra con l’altro membro dei Vecchi Compari, e Silvano era troppo abile per rinunciarvi. Si sarebbe limitato a tenerlo lontano da casa sua.

Pietro, Pietro era perfetto. Lo capì subito dal non proprio sottile ricatto con cui il fabbro lo aveva indotto ad accoglierlo in squadra. Inoltre, gli piacevano molto le voci sulla fuga della moglie di Pietro: non gli sembrava un pericolo per la sua vita coniugale. Magari avrebbe potuto anche invitarlo per un caffè. In realtà era un pensiero del tutto peregrino: nelle successive settimane non lo invitò mai, la prudenza non era mai troppa, soprattutto in un periodo così delicato per Anna.

Come capo dei Vecchi Compari, impose Pietro a Silvano e iscrisse il gruppo al prestigioso Gran Torneo di Bocce e Bocciatori del paese.

I Vecchi Compari – Pt. 2 Silvano, il collezionista

Foto dal web

 L’arrivo di Pietro non venne accolto calorosamente dall’altra metà della squadra. La faccia contrariata di Silvano la diceva lunga su quanto poco gli stesse simpatico Pietro. Innanzitutto, gli sembrava un oltraggio a Luigino trovare già un sostituto: era stato amico del compianto, suo compare fin dall’infanzia, e aveva condiviso con lui numerose passioni. In secondo luogo, era stanco della fissazione per i numeri di Luca. Una squadra di bocce a tre era del tutto onorevole, e un quarto giocatore poteva essere considerato superfluo. Quando venne a sapere che Pietro non aveva la minima idea delle regole delle bocce, la sua perplessità si trasformò in rabbia. E non vi dico cosa successe quando Luca gli annunciò che sarebbe stato lui, Silvano, a spiegare al nuovo arrivato le basi del gioco. Luca doveva portare la moglie Anna dallo psicoanalista poiché sembrava essere caduta in uno stato di depressione catatonico. I nervi, spiegava Luca. Luigino, pensava Silvano. Ed era sicuro che neppure Luca credeva alla storia dei nervi. Silvano aveva la soluzione, ma ancora una volta temeva che la morte dell’amico fosse troppo recente. Magari in qualche mese avrebbe risolto il problema di Anna, e pure il suo, visto l’atteggiamento di ostilità della sua adorata consorte Rachele, dolce come un’arpia e silenziosa come una bertuccia.

“La palla più piccola si chiama pallino. Noi dobbiamo far avvicinare le nostre bocce al pallino o allontanare le bocce degli avversari dallo stesso. Chi va più vicino vince un punto. Se anche la seconda boccia più vicina al pallino è della stessa squadra, viene assegnato un altro punto. Vince chi arriva prima a 12. Chiaro? Ora proviamo”

Ovviamente Silvano immaginava già il fallimento di Pietro. Ci vuole tecnica, non è solo un semplice lancio di una pallina. Richiede concentrazione, coordinazione, molleggiamento di gambe e una forza ben calibrata. Silvano era il più bravo, non c’era storia. I suoi tiri erano impeccabili, riusciva a scalzare le bocce avversarie e contemporaneamente avvicinarsi all’agognata meta. Era un talento, la sua mira era così infallibile da essere diventata una leggenda al Bocciodromo del Paese. E con Luigino era la coppia perfetta.

In realtà Silvano era conosciuto più che per la sua mira, per la sua passione: il collezionismo. Da amante del mondo antico, che cosa poteva mai collezionare? Forse libri antichi, qualche cinquecentina, delle aldine magari, certamente non papiri, troppo rari. E invece, nulla di tutto questo. Silvano collezionava reliquie, pezzi di venerabili appartenuti a santi corpi. Macabro, pensava Luca. Curioso, sostenne Pietro facendo un passo indietro. Folle, vociferavano gli avversari. Di certo, però, questa collezione ben si addiceva al fervente spirito religioso della moglie Rachele, che poteva vantare, con le sue compagne di bancone in Chiesa, di potersi appellare alle più preziose reliquie dei più santi fra i santi direttamente a casa. Una possibilità che era molto invidiata dalle altre comari.

Ma torniamo allo spiazzo dietro il bar dove Silvano sta cercando di ammaestrare il nuovo arrivato Pietro. Quest’ultimo aveva più di sessant’anni e non aveva mai toccato una boccia. Eppure non era così male. Anche Silvano dovette ammetterlo. La vista era ottima, al contrario dell’udito, ma quello non era fondamentale ai fini del gioco.

“Cerca di sbalzare il mio, Pietro. Non solo devi avvicinarti, ma devi anche mettere fuori gioco le bocce degli altri”.

Niente male, proprio niente male.

Forse Luca era riuscito a scovare un talento degno di sostituire Luigino. Silvano sperò che Pietro non sostituisse il suo compianto amico anche in altri ambiti.

I Vecchi Compari – Pt. 1 Pietro, l’artista

Boule, Bocce, Kugelsportart, Ascolta, Sport, Argento
Foto dal web

Si sa, lo sport è una nobile arte, che va praticata con passione e costanza. E questa storia prende proprio avvio con uno sport. Lo sport più affascinante, più coinvolgente che mente umana abbia mai inventato. I Vecchi Compari erano consapevoli dell’eccellenza di questa attività, tanto che in tutta la loro vita si erano impegnati ad allenarsi nella prode disciplina tre volte alla settimana, frequenza che era stata portata a cinque giorni da quando tutti i componenti della squadra avevano raggiunto l’età della pensione. In realtà non tutti erano riusciti a raggiungere questo traguardo, ma la vita può essere beffarda, e togliere la possibilità a taluni di vedere il proprio volto solcato da profondi canali. Luogo di ritrovo era, ovviamente, il bocciodromo. Esisteva, forse, qualche altra attività degna di essere praticata per così tanto tempo, con buona pace di moglie, prole, amanti e pure lavoro? La domanda è retorica, la risposta è una negazione.

L’ultimo ad aggiungersi all’allegra combriccola era stato Pietro, meglio conosciuto come l’Artista. L’A maiuscola è forse un’esagerazione, ma in un paese che contava diecimila anime, mucche e pecore comprese, realizzare oggetti di ogni tipo era considerato una particolarità degna di un artista. Pietro era stato di professione fabbro: quasi tutte le ringhiere del paese erano uscite dalla sua officina, e aveva avuto anche importanti commissioni dalla città. Oltre a lampadari, testate di letto, cancelli e cancelletti, si dilettava a realizzare soprammobili, statuine e statue giganti. A tal proposito vi invito a visitare il parco del paese: là potrete ammirare lo scheletro di una nave pirata in ferro e vetro, che adulti e bambini si divertivano a esplorare.

Pietro era stato assunto dai Vecchi Compari in occasione di un luttuoso evento: la morte del compianto Luigino. No, Luigino non è un soprannome: all’anagrafe era registrato proprio con questo diminutivo. E visto che l’ironia non vede l’ora di fare irruzione in ogni angolo, Luigino divenne prima un ragazzo alto e ben messo, e poi un uomo forzuto, con una pancia proporzionale alla sua altezza. Forse il suo amore per il cibo, combinato con la passione per le sigarette, rigorosamente senza filtro, e una certo vizio per le donne lo avevano condotto prematuramente nella fossa. Troppi piaceri possono essere mortali, come poteva testimoniare Anna, la moglie di Luca, che tenne per ultima tenne fra le braccia, e pure tra le gambe, il focoso Luigino. Forse si era confusa, poiché entrambi gli uomini portavano un nome che iniziava con la stessa sillaba. M questa è un’altra storia. Fatto sta che Luigino venne sepolto assieme alla sua boccia portafortuna, e Luca chiese proprio a Pietro di realizzarne un’altra per l’eventuale nuovo giocatore: era necessario, infatti ristabilire il numero perfetto di quattro, giacché Luca nutriva una certa antipatia per i numeri dispari, e una scaramantica paura per i numeri primi. Luca era un matematico, si capisce.

Pietro aveva realizzato la boccia, ergonomica e perfettamente levigata. E con una bella P disegnata con lo smalto.

“Nessuno di noi si chiama Paolo o Petronio o Poseidone” notò dubbioso Luca.

“Lo so. È P di Pietro. Avete trovato non solo una boccia ma anche un bocciatore” gongolò Pietro.

“Sai giocare?”

“No, ovvio, ma imparerò. Da quando mia moglie è scomparsa, mi annoio. Guarda, ho fatto di tutto: cavalli, altalene, riccioli, fiori, tori, figure umane, figure fantasiose, enormi sculture e sculture piccole come un dito. Ma non chiedermi dove siano quest’ultime, le ho perse da qualche parte. Prendere o lasciare. Cosa dici? Vuoi boccia e bocciatore o vuoi pagare il materiale e tornartene a mani vuote?”

Luca stava riflettendo: si diceva che la moglie di Pietro fosse scomparsa perché lui non era certo un drago. Non so se mi spiego. Quindi non avrebbe preso il posto di Luigino nell’alcova della sua propria moglie, Anna. Inoltre il fisico di Pietro prometteva bene.

“Affare fatto!”

E con una virile stretta di mano, Luca e Pietro divennero compagni di squadra.

Realtà virtuale – pt. 28 La fine e l’inizio del gioco

“Ehilà Tit! O dovrei dire Davide? Non fai entrare due vecchi amici?”

Davide chiuse di scatto la porta. Era una persecuzione, gli sembrava chiaro.

“Oltre a essere un illustre informatico, sono anche un ottimo scassinatore. Aprici: qui si gela. E poi noi siamo i buoni, ricordi?”

Davide non resistette e aprì nuovamente la porta. Quanto era bello commettere gli stessi errori.

“I buoni, scherzi? Mi hai trasformato in un cumulo di bit! Mi hai usato come dinamite e buttato fuori da Ludiveritas come spazzatura senza pensarci due volte. E dovrei lasciarti entrare? Mai. E chi sarebbe la tua compagna? Androm&d482 vero? E come hai fatto a sapere dove abitavo?”

La ragazza sorrise: “Grazie per l’invito Davide: ti spieghiamo tutto dentro. L’umidità è un’assassina qui fuori”. Lo spinse da parte e si intrufolò nel salotto dove si accoccolò su una poltrona.

“Ti sei sistemato bene, vedo. Comunque il mio vero nome è Mary, e il qui presente è Vincenzo. Meglio Vince, ovviamente.

Vincenzo sbuffò: “Meglio Att$la936, decisamente più virile. Allora, da dove cominciare? Hai cercato di ricreare la tua cella nella realtà: ci vuole coraggio. Di questi tempi l’agricoltura viene sempre sottovalutata. Ammetto anche che ritrovare il tuo indirizzo non è stato semplicissimo. Solo semplice. Vedi, tutto nel web lascia…”

“…un segno. Lo so Vince. Cerca di non perderti nei tuoi stessi piani. Questa storia è durata fin troppo”.

“Calma Tit. Il tuo vecchio indirizzo era nei miei database, ovviamente. Grazie a Mary sono risalito all’agenzia immobiliare che si è occupata della cimpravendita, ne ho hackerato il sistema, e ho preso tutti i dati che ci mancavano. Ed eccoci qui. Contento?”

“Come un bambino a Natale”.

“Abbiamo una proposta per te. Ti assumiamo”.

“No, scordatelo”.

Vincenzo inalberò una faccia dispiaciuta. Di fisico non era molto simile a Att$la936, ma il carattere era decisamente lo stesso.

“Non sei una scheggia, vero? Penso tu l’abbia intuito: Mary e io stiamo insieme e lei è la co-fondatrice di Ludiveritas. Ha avuto una sbandata per quel porco, maledetto, infame…”

“…Luca. Lo hai conosciuto sotto il nome di Lep1do25” spiegò con un leggero imbarazzo Mary. “L’ho conosciuto a lavoro e l’ho coinvolto nel progetto, assieme a Cri, Serapis*3. Vince mi deve ancora perdonare del tutto. Ovviamente mi sono pentita quasi subito, ma tornare da Att$la936 avrebbe significato la morte del mio avatar”.

“Ti ho perdonata, non ti distruggerei mai. In ogni caso, la premiata ditta Lep1do25 & Serapis*3 hanno cominciato a voler prendere il controllo di Ludiveritas: i guadagni non sono mica male, sai? Nonostante la distruzione della loro base, però, la zona nera è ancora molto estesa. Ci servono giocatori puliti, come te. Stiamo creando un’alleanza per far fronte agli hacker, insomma. Che ti sembra? Vuoi essere dei nostri?”

“No”.

Il silenzio calò nella stanza. Venne rotto da Davide: “Sentite, ho una mia attività che richiede tutte le mie energie e il mio tempo. Non avrei tempo anche per Ludiveritas. Non voglio più diventare succube di un gioco. Come sta Founder01”.

Vincenzo si animò: “Ma non è un gioco, è molto di più. È un insegnamento. Avresti mai avuto il coraggio di fare tutto questo senza Ludiveritas? Anche una penna può essere usata per uccidere, ma non per questo è un’invenzione pericolosa. Aiutaci a far tornare Ludiveritas il mondo ideale Tit! Founder01 ti saluta: sta ancora ridendo per il botto che hai fatto”.

Davide lo guardò: “E in cambio?”.

Mary si mise a ridere: “Non è così stupido come pensi, Vince. In cambio noi ti aiutiamo con la tua attività. Siamo informatici provetti, il tuo nome sarà sulla bocca di tutti i ristoratori. Che ne dici? Ricomincerai a giocare?”

“Ci devo pensare”.

Vincenzo sembrò soddisfatto: “Sembra un passo in avanti. Facci sapere: basta che urli dalla finestra, perché abbiamo acquistato la fattoria affianco, dove ci verrà a farci compagnia anche il mio fratellone Gu. Ovviamente se vuoi allargare la produzione potremmo affittarti anche la nostra terra. Ma tutto ha un suo prezzo”.

Che gioco strano era diventata la sua vita, pensò Davide guardando i suoi amici che si allontanavano a piedi dopo averlo salutato.

FINE

Mattoncini

Da piccoli giocavamo con i mattoncini. Incastri e fantasia come malta. A poco a poco vedevamo crescere tra le nostre mani castelli, città, villaggi. Pochi minuti e colorate, ardite, costruzioni si ergevano in un equilibrio instabile.

Mattoncino dopo mattoncino. Incastro dopo incastro.

E poi con un solo colpo l’incantesimo svaniva, gli edifici ridiventavano semplici cumuli di plastica multicolore. E ce ne stavamo là, in un mare di distruzione.

Il gioco ricomincia. Nuovi castelli, nuovi palazzi, nuove città.

Da piccoli erano regni di fantasia. Ora sono i mattoncini della vita quelli che si trovano ai nostri piedi. Ancora senza una forma, un ordine, una fantasia.

Basta avere l’umiltà di chinarsi e giocare. Di nuovo.

Asso solitario

E così iniziò il gioco. Le carte vengono mescolate, tagliate, distribuite. Tutti attorno al tavolo trattengono il respiro mentre sbirciano ciò che il caso ha destinato loro.

C’è chi tira un sospiro di sollievo, chi maledice a denti stretti una dea bendata che non gli fa mai visita, chi si rassegna, chi finge che vada tutto bene e chi è deciso a sfidare il fato.

Le carte sono là. Silenziose, immobili, involontarie destinatarie di maledizioni e felicità. Sono tutte in disordine, alcune macchiate, altre piegate. Il fante di cuori dialoga con la regina di picche mentre il re dei fiori cerca di regnare su sette denari.

Tutte cercano un loro ordine, chiamano i vicini, vorrebbero finalmente ricostruire la propria dimora, ritrovare il seme da cui avevano avuto origine.

Ma il gioco prosegue. Carte scartate e carte raccolte. Carte rimpiante e carte desiderate. Infine la scommessa, la perdita, la vittoria.

Il gioco è finito. Per terra rimane un asso di denari. È rosso, nobile, prezioso. Ma è solo e dimenticato da tutti.