Condominio n. 132 – Pt 11

La signora Curiosità era una matrona di un altro tempo. Pesante e massiccia, quando il marito era ancora in vita lo aveva convinto a trasferirsi dal terzo piano dello stesso condominio al primo, risparmiandosi in questo modo un bel po’ di rampe di scale.

La morte del signor Curiosità era avvenuta qualche decennio prima, e la sua foto campeggiava in un tavolino in entrata, in modo da poter guardare tutti i nuovi arrivati.

“Signora De Pauris” tuonò Curiosità con la sua voce da soprano. La differenza tra le due signore non poteva essere più evidente: la De Pauris, piccola e minuta, sembrava una bambina rispetto alla Giunone che troneggiava sulla porta.

“Ma entri. Stavo proprio preparando un tè con dei biscottini al burro che sono la fine del mondo” e si fece faticosamente da parte facendo risuonare le varie collane che portava adagiate sul vasto petto. La signora De Pauris si fece ancora più piccola e si insinuò tra la porta e la massa della sua vicina.

“Non voglio disturbarla, signora, ma solo parlarle di un problema”.

Una risata fragorosa fece scuotere le vesti rosse di Curiosità: “Sta forse parlando di quel problema?”

La De Pauris la guardò in po’ interdetta: “Quel problema?”.

“Ma sì, il messo cacciato dal signor Notaio e il piano del signor Sotutto. Lo sa, non mi muovo molto, ma non mi scappa mai nulla”.

E con una certa abilità, spinse una sedia verso l’ospite, agguantò una seconda tazza, si accomodò su un altro, scricchiolante scranno e, dopo essersi aggiustata la folta chioma rossa Tiziano, iniziò la sua spiegazione.

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Ghirlande di Natale – Pt. 2

Furt conosceva solo di fama lo scorbutico gnomo rintanato nel sottosuolo. Aveva persino pensato che si trattasse di storie per folletti infanti, che si impauriscono anche con le ombre del fuoco. Ma la sua amica, Candy, gli aveva giurato di averlo visto mentre sbuffafa guardando la loro casa.

“Avresti dovuto sentirlo” cinguettò Candy. “Se ne stava lì imbronciato a lamentarsi di quanta luce emanassero le nostre finestre. E che il calore dei nostri fuochi stava sciogliendo la neve. È vero, esiste Furt. E se fosse per lui, il nostro capo dovrebbe traslocare il prima possibile”.

Furt credeva a ogni parola di Candy. Erano amici, e la parola degli amici non si mette mai in discussione.

In realtà Candy non aveva né visto né sentito lo gnomo Dwarf, ma la moglie, Klag. A sua discolpa, è molto difficile distinguere uno gnomo maschio da uno gnomo donna. Le trecce di quest’ultima sono così folte e vengono tenute sul davanti in modo tale da poter essere facilmente scambiate per barba.

L’odio di Klag non era ingiustificato. Gli gnomi amano il buio, che permette loro di studiare gli astri e le divinità che scintillano nel cielo. Inoltre, lo scioglimento locale delle nevi, causato da una natura freddolosa del principale di Furt e Candy, provocava gravi infiltrazioni d’acqua gelata nella tana di Klag e Dwarf.

Insomma, le fondamenta per una lotta di vicinato erano ben solide e pronte a sorreggere un palazzo di dispetti e rappresaglie.

Ghirlande di Natale – Pt. 1

Produrre ghirlande di natale può creare problemi, soprattutto se ti chiami Dwarf, e se sei uno gnomo che vive proprio ai confini del villaggio di quel rubicondo signore che alleva renne e folletti, e soprattutto se condividi tana e vita con una gnoma di nome Klag.

Forse sarà scontato, ma questa è proprio la storia di Furt, allegro folletto di uno strano signore, che vive proprio a due passi da uno gnomo scorbutico, creatore di ghirlande scure come una notte senza stelle e spinose come le parole della non più giovane, e probabilmente mai bella, moglie.

È evidente che nella lettera a uno strano personaggio che ride e si intrufola nel camino l’autore dovrebbe chiedere un po’ di coerenza.

Tutti in carrozza – Pt 3

“Tutti in carrozza”

“Fermate la strega”

Le due urla si sovrapponevano nella mente di Ivanne mentre il treno scivolava fuori dalla stazione, lontano da Luc, lontano dal passato.

Strega. Molti l’avevano chiamata in quel mondo. Se fosse stata davvero una strega di Luc non sarebbe rimasto nemmeno un dente. Era un’erborista, molto semplice: aveva imparato l’arte dalla vecchia nonna con cui era cresciuta. Radici e bacche non avevano segreti, foglie e fiori erano la sua specialità. Luc non tollerava quella sua capacità. Luc non tollerava nulla che fosse strano, in effetti.

E mentre il treno prendeva velocità, si rese conto della scomodità del sedile, le gambe iniziarono a dolerle e il suo pensiero si fermò sulla necessità di fare una passeggiata e abbandonare quella rigida posizione, nonché gli avidi occhi del vicino.

Ivanne si alzò e uscì nel corridoio.

Mettiamoci una pietra sopra

Era semplice per Elena dire: “Mettici una pietra sopra”. Ovvio, il problema era sua madre, nonché la suocera di Luca. Il problema era sempre lei, e Luca iniziava a perdere la pazienza. Avesse saputo ritrovare questa pazienza persa, avrebbe avuto la vita più semplice. E invece no, quella vecchia compariva sempre nei momenti più inopportuni, criticava qualsiasi cosa su cui posasse gli occhi, soprattutto se era in qualche modo legata a Luca, e poi se ne andava tra l’adulazione di Elena, il disappunto di Luca e il suo autocompiacimento.

La soluzione a qualsiasi critica di quell’arpia era: “Mettici una pietra sopra”. Come se fosse semplice. Con tutte quelle pietre avrebbe potuto lastricare una strada a quattro corsie che attraversasse tutti i continenti. Quel malcontento iniziava poi a riversarsi anche su Elena: perché non riusciva a capire il disagio di Luca? Perché non rispondeva alla madre o almeno non lo aiutava a metterci una pietra sopra?

Quel giorno era stato il culmine. Cerbero era riuscita a criticare, nell’ordine, il lavoro di Luca, perché l’infermiere è troppo umile, l’aspetto di Luca, troppo esile per la sua stupenda bambina, il giardino di casa, trascurato evidentemente da Luca, i vestiti di Luca, troppo larghi, il cibo, fatto dalla figlia solo perché Luca non le dava una mano, il regalo di Luca per il compleanno di Elena, a suo dire troppo economico, il modo utilizzato da Luca per tagliare…ma a questo punto Luca commise un errore, un fatale errore.

Luca aveva sempre sopportato per amore di Elena lo spirito eccessivamente critico della suocera. Non aveva neppure fiatato quando al matrimonio la strega aveva urlato che, fosse stato per lei, Luca non avrebbe mai messo piede nella sua casa. Ma quel giorno Luca non rimase zitto. Non parlò nemmeno, in realtà. Luca gridò. Anzi, inveì.

“Basta! Arpia, strega dalla lingua biforcuta, Cerbero! Esci di casa! Esci dalle nostre vite!”

Peccato che non si limitò a questo. Utilizzò improperi non riportabili, il tutto brandendo un coltello. Non che avesse intenti violenti, solo che stava affettando l’arrosto, per cui aveva in mano il coltello. A vederlo doveva fare paura. Talmente tanta paura che il cuore della suocera cedette. Non si sa se cedette all’indignazione o alla rabbia o al timore di finire affettata, ma smise di lavorare.

Quella volta fu molto semplice metterci una pietra sopra. Luca andava ogni giorno a guardare quella pietra, sorridendole tranquillo e riconoscente. Era libero. La sua ex-moglie aveva ragione: per risolvere un problema, basta metterci una bella, definitiva, tombale pietra sopra.

Non sembrava potesse essere possibile

 “Siamo costretti a interrompere la normale programmazione per una notizia appena battuta da un’unica agenzia. L’unica agenzia che sembra lavorare in questo momento, in realtà. Ci sono prove secondo le quali la luna sembra essere caduta sulla terra. L’equilibrio che per millenni ha tenuto sospeso il satellite sopra di noi, sembra essersi infranto. Ancora non è chiaro dove sia avvenuto l’impatto: se qualcuno avesse notato qualche cosa di strano, un terremoto o un maremoto o l’improvvisa comparsa di un enorme masso di origine non certa, è pregato di contattare i soccorsi, se ci riesce, o direttamente la nostra redazione, se ci vedete. Vi aggiorneremo non appena avremo delle novità”.

La notizia era stata battuta da un’agenzia conosciuta con il nome di DoM, vale a dire Deserts of the Moon, pressoché sconosciuta ai più, che aveva la sua sede in un qualche angolo perso in un deserto, dove, era evidente, la caduta della luna non aveva avuto un’influenza troppo negativa. La redazione del telegiornale era ubicata, invece, in una sorta di bunker, dove aveva posto la sua sede la rete di trasmissione True Reality. Nulla di strano: si trattava di una di quelle emittenti indipendenti che denunciava i complotti di varia entità e gravità a poche centinaia di affezionati spettatori. In effetti erano più le querele e le denunce ricevute rispetto agli spettatori, ma i redattori e gli autori dei programmi erano animati dalla convinzione di divulgare la verità in un mondo tessuto di menzogne.

Il pericolo del crollo della luna era già stato segnalato in altri programmi di True Reality, e anche da diversi anni. Ciò che aveva ottenuto era solamente una diffida da parte di una famosa e blasonata compagnia aereospaziale, sovvenzionata dallo stato. Secondo la teoria del noto astrofisico, nonché apprezzato astrologo, Suliman Fandonis, la luna rimaneva a distanza costante dalla terra per una serie di forze in equilibrio che, come dimostrato dalle mutevolezza delle maree, potevano variare a tal punto da mettere in pericolo la stabilità della luna stessa. Di conseguenza, questa avrebbe fatto un rovinoso capitombolo, termine tecnico, sulla terra stessa. L’impatto sarebbe stato terribile. Si consigliava, dunque, di vivere il più possibile rintanati in un bunker, scelta fatta dalla stessa True Reality, o in luoghi cosiddetti morbidi, come un deserto di sabbia, vedasi DoM.

“Aggiornamento dell’ultima ora. Per adesso ci ha chiamato solo uno spettatore, il quale sostiene di aver sentito una scossa di terremoto, ma è chiuso nel bunker da oltre un mese e non intende uscire per controllare. I nostri inviati ancora non ci danno segnali dal mondo di fuori. Temiamo, quindi, che il nostro appello sia passato inascoltato e che l’umanità tutta sia stata vittima della sua stessa cecità e prepotenza. Schiantandosi sulla superficie terrestre la luna ha punito gli increduli e i mentitori, gli empi e gli spergiuri. Sta a noi, True Reality, assieme con gli amici di Deserts of the Moon ripopolare la terra, diffondendo e rispettando la verità che ci ha permesso di non soccombere alla fine”.

Nel mondo al di fuori del bunker, in un salotto deserto, echeggiava la voce disperata di un presentatore che annunciava a un mondo deserto la caduta della luna. Ma non c’era nessuno che lo potesse ascoltare.

I Vecchi Compari – Pt. 6 La Strategia

Buona parte dell’allenamento pratico, o azione, come amava chiamarlo Silvano, era costituito da strategia: i Vecchi Compari si sforzavano di mettere in pratica quei complicati schemi ideati da Luca, che venivano esposti dallo stesso davanti a una bottiglia di birra. In verità, era molto difficile rendere reali quei viaggi fantasiosi poiché non sempre le bocce si trovavano nell’esatta posizione ordinata da Luca, e anche perché non sempre gli altri componenti della squadra si ricordavano gli schemi. Pietro era l’unico giustificato, essendo l’ultimo arrivato, ma con gli altri Luca perdeva le staffe.

“La Pinza! Era un’ottima occasione per provare lo schema Pinza, Silvy!” sbraitò Luca. Silvano aveva una vaga idea di quale fosse questo schema Pinza, ma di certo capiva perché Anna si fosse innamorata del pacato, rassicurante Luigino, che poteva vantare una sensuale voce da basso. Neppure lui aveva una voce malvagia, pensò Silvano, di certo meglio di quella di Luca, che spesso scadeva nel falsetto.

“A-a-anche t-t-tu s-s-sei s-s-stato abbandonato”. C’era stato un cambio di squadra: Pietro era con Antonio che sembrava essere interessato alla sua relazione con la moglie quasi quanto Silvano.

“No, se ne è andata all’inferno, il posto che le spetta”. La boccia di Pietro superò di gran lunga il pallino, finendo quasi a fine campo.

“Pierre, avanti, concentrati e modera quella forza da orso”. Silvano si chiese se non avesse sopravvalutato le capacità del nuovo arrivato. Aveva comunque notato che l’argomento moglie era un tasto particolarmente poco apprezzato da parte di Pietro. Tra gli Allegri Compari, in effetti, tutti si risentivano quando qualcuno si interessava del partner, Antonio compreso. L’unico che sembrava non avere segreti era Luigino, che parlava della moglie con affetto.

“Il fuoco l’ha divorata” sbottò Pietro, stupendo Antonio non solo con la frase, ma anche con un lancio perfetto, che scalzò la boccia di Luca, avvicinandosi al pallino.

“Bravo Pietro, la mossa della Locusta, perfetto! E sei con noi da solo una settimana!”

“A-A-anch’io n-n-non s-s-so d-d-dove s-s-sia A-A-A…A-A-A…” Antonio non era proprio in grado di pronunciare il nome del suo amato, che si era dileguato assieme al negozio e agli altri amici. E di amici ne aveva avuti molti Antonio, poiché il negozio I giochi di Dioniso aveva attirato molti clienti, fra tutti Luigino e Anna, che sembravano sentirsi in dovere di raccontare alcuni particolari della loro vita sentimentale. Antonio e Alvise sapevano i segreti di tutti, a parte quelli di Rachele, che non si avvicinava nemmeno alla vetrina. Solo una volta era entrata, all’apertura del negozio, armata di acquasantiera e ulivo, nel tentativo di scacciare il diavolo. Ma il diavolo era entrato, vestito in giacca e cravatta, promettendo successo e denaro, e lasciando solo terra bruciata e solitudine.

“Non pensarci Antonio” disse Pietro accompagnando le parole con un colpetto sulla spalla. Il colpetto in verità non era troppo forte, ma Antonio fece un saltello spaventato proprio mentre lanciava al boccia.

“Bravissimo, Antonio! Magistrale! La mossa della Cavalletta!” Luca era estasiato, e guardava Antonio come se fosse un eroe.

“Quattro ore passate, ragazzi” fece notare Silvano “Senti Luca” aggiunse “non è che posso cenare con te e Anna? Rachele è al gruppo di preghiera. Loro digiunano, ma non mi è ben chiaro il motivo”.

Il caffè e la cena. A Luca non dispiaceva Silvano, perché lo considerava un pio uomo di chiesa, ma avrebbe voluto passare la sera con la moglie, senza metterla sotto pressione. Sarebbe stato sgarbato, però, rifiutare la richiesta di un amico, e Anna non sembrava infastidita dalla presenza di Silvano.

“Certo, non ci metto nulla ad aggiungere un posto a tavola”.

Quel giorno, Antonio e Pietro avevano vinto, ma Silvano si sentì il vincitore di tutte le coppe del Gran Torneo delle Bocce e dei Bocciatori di tutte le epoche.

I Vecchi Compari – Pt. 5 L’allenamento

Il Gran Torneo di Bocce e Bocciatori era un evento straordinario: avete presente le Olimpiadi? Ecco, qualche cosa di simile, ma ancora più importante. Richiedeva anni di strenuo allenamento, passione sconfinata e abilità impareggiabile. I Vecchi Compari non avevano mai avuto il coraggio di parteciparvi, poiché incontrarsi tre volte alla settimana era del tutto insufficiente per poter anche solo sperare di essere presi in considerazione. Ma ora era tutta un’altra storia: da pensionati avevano tutto il tempo che volevano. L’unico a creare un po’ di problemi era Antonio, ma nessuno lo aveva mai preso in considerazione, se non le banche quando gli avevano pignorato ogni suo avere. Era arrivato il tempo della vittoria, e la dipartita di Luigino, per quanto dolorosa, non avrebbe interrotto questa gloriosa ascesa all’empireo della bocciofila.

Che l’allenamento avesse inizio, dunque!

Luca portò gli incontri settimanali da tre, numero che evidentemente era del tutto insufficiente, nonché iettatore, a sei, una più promettente cifra pari. Nessuno si lamentò: Pietro aveva già ridotto al minimo la sua attività di fabbro e si sentiva solo senza sua moglie, Silvano non tollerava più Rachele con le sue litanie riservate a pezzi di cadaveri, e Luca riteneva che ad Anna facesse bene avere i suoi spazi. Nessuno si chiese che cosa pensasse Antonio, ma quest’ultimo, in ogni caso, non proferì lamentela. Ogni sessione durava quattro ore, con una corroborante pausa di mezz’ora dopo le due ore iniziali.

Innanzitutto si procedeva al molleggiamento delle ginocchia, il che causò un bel po’ di scricchiolii e proteste da parte delle giunture provate dagli anni.

“Ragazzi, se volete ho un po’ di olio in officina” tuonò Pietro. C’è da dire che Pietro non emetteva un singolo cigolio, ma il suo trucco non era certo l’olio: alcuni anni prima era stato operato e ora poteva vantare due fantastiche ginocchia bioniche, indistruttibili. Luca valutò se non fosse il caso di sottoporre tutta la squadra alla medesima operazioni.

“Tre mesi di riposo, e sentite che silenzio proviene dalle mie ginocchia” gongolò Pietro. Tre mesi erano troppi. Niente operazione, concluse Luca a malincuore: magari le ginocchia nuove lo avrebbero reso più gradito ad Anna.

“Luca, smettiamola con questa buffonata, passiamo all’azione”.

Quel vecchio scarpone di Silvano voleva sempre passare all’azione: probabilmente le letture classiche su eroi e battaglie gli avevano offuscato un po’ la mente. Il dubbio che Silvano fosse un po’ strano era sorto anche a Luca, il giorno prima, quando l’amico si era auto-invitato per un caffè perché non aveva voglia di tornare nel reliquiario che era diventata la sua casa. Cosa strana, visto che, essendo un antiquario, avrebbe dovuto essere avvezzo agli oggetti antichi.

“S-s-scusate il r-r-ritardo, ora r-r-recupero. U-u-una follia il t-t-traffico!”.

Nessuno in realtà si era accorto della mancanza di Antonio, forse perché se ne stava sempre zitto, con lo sguardo fisso sulle poderose spalle di Pietro.

Ci pesò Silvano e rassicurarlo: “Non ti sei perso niente Anto, ora comincia l’azione”.

Si sfidarono due contro due: Pietro e Silvano, contro Luca e Antonio. Pietro si rivelò essere un giocatore leggermente migliore di Antonio, che sembrava un po’ distratto e incapace di allontanare le bocce avversarie dal pallino. Luca era un abile calcolatore, e valutando angoli e forza era un temibile avversario per Silvano e Pietro che, invece, si affidavano più all’intuito.

“Girano strane voci su tua moglie, eh Pierre!” Silvano era molto incuriosito dalla vita sentimentale del compare, soprattutto quando questa sembrava più miserabile della sua: era da mesi che la moglie Rachele non gli permetteva neppure di condividere lo stesso letto, per una qualche promessa fatta a un qualche santo. Ma in confronto all’abbandono del tetto coniugale, l’atteggiamento di sua moglie gli sembrava più che dignitoso.

“Andata”. Si limitò a dire Pietro, che odiava essere chiamato in francese, e, ancora di più, odiava ricordare la moglie.

Alla ricerca del tesoro – Parte seconda e ultima (con grande sollievo di Louis)

L’inizio del viaggio si presenta come una passeggiata: Louis si limita a camminare, assecondando il terreno, attento a non mettere il piede in fallo. In realtà due o tre volte ruzzola poco elegantemente, ma questi piccoli incidenti possono essere considerati come un’accelerazione per il raggiungimento dell’agognata e temuta meta. Niente pirati: il mare è lontano

E niente briganti. La ricerca del tesoro procede senza che si palesino i nemici tipici dell’eroe. Louis non se ne lamenta. In realtà non si era neppure posto il problema di nemici: viaggia disarmato, perché quel monte è così scosceso da aver tenuto lontani malavitosi e bestie feroci.

Arriva al fiume da guadare: il saggio lo aveva descritto come un enorme serpente, con la forza di mille caproni, dalle acque gelide come l’inverno più rigido. Probabilmente aveva affrontato il viaggio in una stagione poco favorevole: Louis ha avuto l’accortezza, o la fortuna, di partire in estate, quando ormai il fiume e poco più di un rigagnolo. Lo oltrepassa e prosegue il suo cammino fino la molo e alla strada. Il molo si rivela essere una piattaforma di legno marcito sospeso nel letto secco del fiume La strada è invece poco più di un sentiero, che a volte dimentica la sua funzione e si confonde con il prato circostante. Da bravo ragazzo, Louis lo segue, sempre senza essere assalito da predoni o da ladri. Non incontra anima viva.

Dopo un altro giorno di viaggio, finalmente scorge le mura della città. Si nasconde in un boschetto e si cambia i vestiti logori. Non che si fossero consumati durante il viaggio: erano logori anche prima di partire. Indossa delle vesti nuove, che il saggio gli aveva assicurato essere all’ultimo grido in città. Come conoscesse la moda della città nonostante non si fosse mosso da anni dal villaggio, resta un mistero, ma di sicuro rientra fra le capacità che gli hanno fruttato il titolo di saggio.

Sorridente e ben vestito, Louis fa la sua entrata trionfante: ha raggiunto la X della sua mappa. Ora basta convincere una ragazza a seguirlo. Rimane però deluso: la città non è immensa come aveva descritto il saggio, ma era poco più vasta del villaggio stesso. Almeno su una cosa aveva ragione, però, la sua guida: c’erano molto più giovani, e, mirabile a vedersi, pure ragazzi e bambini. Vagando per le vie Louis pensa persino di scorgere un neonato in fasce. Ma non è venuto per visitare il mondo, è venuto a prendere moglie.

Entrato in un locale, scopre che effettivamente i suoi vestiti erano all’ultimo grido, nel senso che suscitano irrefrenabili e violenti scoppi di risate fra gli avventori della locanda. E non solo nella prima in cui ha messo piede, ma anche nella seconda, e nella terza, e pure nella decima, dove si ferma un po’ spaesato. Il povero Louis non si accorge che i giovanotti non portano un panciotto arancione su una camicia ricamata a fiori multicolori. Non nota che le giacche, in città, hanno colori scuri, al contrario della sua che sembra urlare il fatto di essere rossa come una fragola. E gli zoccoli in città non sono apprezzati, anche se intarsiati. Per fortuna si era dimenticato a casa il cappello, come gli farà notare il padre una volta tornato.

“Cosa vuoi giovanotto? Idromele? Vino? Birra?”

La locandiera non fa il caso suo: il saggio gli aveva suggerito di starsene lontano. Cosa strana, visto che se ne era sposato una.

“Latte di capra, grazie”

La locandiera ride con agli avventori dei tavoli vicini. Louis non capisce cosa ci sia di tanto comico nel latte di capra. È certo solo del proprio imbarazzo.

“Da dove vieni? Di certo sei uno straniero”.

A parlare è stata una voce dolce come il miele, che proviene da morbide labbra rosate, poggiate come farfalle su un candido viso. Louis si innamora a prima vista di quella ragazza. In realtà non era una bellezza, ma era la prima giovane che Louis avesse mai visto. Peccato per l’energumeno seduto accanto, il promesso sposo della fata.

“Da monte”.

Subito si intromette la locandiera: “Come sta Irma? È partito con quel tipo strano: d’altronde solo uno come lui poteva sposare Irma”.

Si dà il caso che Irma sia la madre di Louis, ma Louis non conosce il nome della madre: niente nel villaggio ha un nome, neppure il villaggio stesso. Tutti si riconoscono a seconda della funzione che hanno. Solo Louis manteneva il suo nome, poiché la sua funzione era ancora da scoprire.

“Non costà alcuna Irma da Lei favellata, madama, mi rincresce assai. Giunsi in codesto inclito borgo per conoscer madamigella da recare meco colà”

Non che Louis parlasse sempre in questa buffa maniera: rientrava nelle curiose lezioni di corteggiamento della locandiera sua conoscente.

“So io cosa stai cercando, giovanotto, una come Irma. Gasparre, porta questo capraio dalla figlia di Peter: si piaceranno”.

L’energumeno si alza, prende per una spalla il povero, atterrito Louis, e lo trascina per tutta la città, accompagnati da risate e urla di scherno. I vestiti erano proprio all’ultimo grido, pensa Louis. Viene poi gettato dentro a una casupola, dove riceve una poco galante e femminea pedata.

“Chi sei tu?”

Ora, la donna che si parava avanti non può certo competere con la ragazza della locanda, ma Louis non se ne lamenta: nessuna donna al villaggio è neppure lontanamente bella come il suo primo amore.

“Sono Louis, vengo costà a prendere moglie…”

“Padre, madre, accorrete. Sono sposata, qualcuno mi vuole in sposare!”

Non solo il padre e la madre, ma anche tutto il vicinato e gran parte della città accorrono agli schiamazzi della non più giovane e mai avvenente ragazza, la quale ha agguantato Louis stampandogli un bacio in volto. Louis non reagisce.

“Ecco il borsone”. È Peter in persona ad aver parlato. È evidente che non veda l’ora di allontanare l’ingombrante ragazza. Il padre della futura moglie squadra i multicolori abiti di Louis e borbotta: “Ottimo. Buon viaggio e auguri. Non invitateci alle nozze”.

Louis non uscirà mai più dal villaggio e sua moglie troverà impiego nella locanda “Da Irma”. Il tesoro gli darà tre figli, famosi non per la loro avvenenza, e tante chiacchere. Sarà conosciuto come il matto del villaggio.

I Vecchi Compari – Pt. 4 Antonio, l’anonimo fallito

Avrebbero partecipato al Gran Torneo di Bocce e Bocciatori, senza Luigino, con un tipo grande e grosso che non aveva mai messo mano alle bocce prima del corso intensivo di Silvano. Era la fine, pensò Antonio, la rovina, un’altra macchia da ascrivere alla lista dei suoi fallimenti personali. Ed erano molti, ve lo garantisco. Sentiva già il panico che saliva al volto come vampate, la pancia che si svuotava, la testa che si riempiva di un ronzio. Era la rovina. Tutta la bocciofila avrebbe riso di loro. Quattro ultra sessantenni incapaci di vincere una partita di bocce. Sarebbe stata una vergogna, una presa in giro.

“M-ma P-P-Pietro n-non è p-p-pronto, v-vero S-S-Silvano? È una follia!”. Di solito follia, pazzia, rovina, fallimento erano parole che sfuggivano al balbettio nevrotico di Antonio.

“Io sono il capo del gruppo, e io decido. Gareggeremo in quattro. Silvano ha detto che Pietro non se la cava male. Da domani ci alleneremo, e il mese prossimo faremo tacere quei bifolchi di Vecchie Dentiere, quei cafoni di Birilli Traballanti, quei rodomonte di Bocce del Conte. Non temere Antonio. E cerca di trovare tempo per giocare”.

Di tempo Antonio non ne aveva molto, perché continuava a lavorare nell’archivio del paese, mentre tutti gli altri, con l’eccezione di Pietro, erano già in pensione. In realtà Antonio non avrebbe mai avuto una pensione, perché i suoi debiti superavano di gran lunga il conto corrente di tutti i suoi compagni messi insieme. Era stato truffato, raggirato e infine abbandonato. La truffa e il raggiro avevano interessato l’ambito del lavoro, cioè il suo negozio I giochi di Dioniso, l’abbandono era riferito, invece, alla sua vita amorosa, e quindi al suo unico grande amore, Alvise. Non era un genio delle bocce, ma non era neppure un disastro, però Luca lo apprezzava per il suo disinteresse nei confronti delle donne.

Antonio aveva fatto la sua comparsa nel gruppo Vecchi Compari una ventina d’anni prima, quando il suo predecessore, Giovanni, se ne era andato per motivi che non erano molto chiari. Da quanto aveva capito, Luca aveva litigato pesantemente con Giovanni, che non si era più fatto vedere al bocciodromo. Anche Luigino non ne parlava molto bene, ma secondo Silvano non era una cattivo giocatore, era solo diventato un po’ distratto dopo la morte della moglie. La scelta di Antonio era dipesa da Silvano, suo vecchio amico: sosteneva che avesse bisogno di pensare ad altro, e il gioco delle bocce si dimostrò un’ottima distrazione, in effetti. Si rivelò essere una buona distrazione dopo lo scandalo del suo fallimento e la fuga del suo amato.

Perdere la gara, il Gran Torneo di Bocce e Bocciatori, avrebbe comportato sicuramente lo scioglimento del gruppo, e lui sarebbe rimasto ancora solo. Di nuovo solo. Ma gli ordini di Luca non potevano essere disattesi, per cui ripiombò nel silenzio, come sempre. Guardò Pietro: almeno non era male.