Caverna

C’è una piccola caverna oscura, un diamante nero incastonato tra il cuore e il polmone. In questo anfratto vive una creatura mostruosa, minuscola, certo, ma potente. Sembra uno sbuffo di fuliggine, con zampette dotate di artigli e vispi occhi luccicanti. O forse è più simile a una creatura tentacolare, che si avvinghia con forza e stritola anche le rocce.

In un punto ben preciso del petto c’è lo sconfinato regno di una creatura subdola e scaltra. Il suo è un potere incontrastato. Il nome oscilla da rabbia a vendetta, talvolta muta anche in invidia. Difficile da domare, impossibile da addomesticare.

La caverna è minuscola, quasi impercettibile, ma la posizione è ottima. Comanda il cuore, toglie il fiato, accelera il ritmo, lo riduce al minimo. A euforia amara segue un dolore profondo che smorza il respiro.

È una strana creatura. E quando decide di uscire è meglio prepararsi al peggio.

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Chi manca

Siamo tutti qui, quindi. Ogni presente mi guarda con un poco di stupore. Quel viaggio era fondamentale per il progetto. Dovevo essere in grado di ricordare senza malinconia.

Chi manca mi guarda con curiosità.

Partiamo allora. In primo luogo, meglio allontanare Senso di Colpa: parla molto e pure a sproposito. E Rabbia gli faccia compagnia: ha il vizio di rendere ottusi i più acuti.

Chi manca inizia a capire e sorride.

Meglio che Nostalgia faccia qualche posso indietro. Oggi non so piange. E anche Paura se ne stia in disparte. Oggi non voglio distrazione.

Chi manca si è avvicinato e mi ha stretto in un ineffabile abbraccio.

Ora siamo tutti.

Mettiamoci una pietra sopra

Era semplice per Elena dire: “Mettici una pietra sopra”. Ovvio, il problema era sua madre, nonché la suocera di Luca. Il problema era sempre lei, e Luca iniziava a perdere la pazienza. Avesse saputo ritrovare questa pazienza persa, avrebbe avuto la vita più semplice. E invece no, quella vecchia compariva sempre nei momenti più inopportuni, criticava qualsiasi cosa su cui posasse gli occhi, soprattutto se era in qualche modo legata a Luca, e poi se ne andava tra l’adulazione di Elena, il disappunto di Luca e il suo autocompiacimento.

La soluzione a qualsiasi critica di quell’arpia era: “Mettici una pietra sopra”. Come se fosse semplice. Con tutte quelle pietre avrebbe potuto lastricare una strada a quattro corsie che attraversasse tutti i continenti. Quel malcontento iniziava poi a riversarsi anche su Elena: perché non riusciva a capire il disagio di Luca? Perché non rispondeva alla madre o almeno non lo aiutava a metterci una pietra sopra?

Quel giorno era stato il culmine. Cerbero era riuscita a criticare, nell’ordine, il lavoro di Luca, perché l’infermiere è troppo umile, l’aspetto di Luca, troppo esile per la sua stupenda bambina, il giardino di casa, trascurato evidentemente da Luca, i vestiti di Luca, troppo larghi, il cibo, fatto dalla figlia solo perché Luca non le dava una mano, il regalo di Luca per il compleanno di Elena, a suo dire troppo economico, il modo utilizzato da Luca per tagliare…ma a questo punto Luca commise un errore, un fatale errore.

Luca aveva sempre sopportato per amore di Elena lo spirito eccessivamente critico della suocera. Non aveva neppure fiatato quando al matrimonio la strega aveva urlato che, fosse stato per lei, Luca non avrebbe mai messo piede nella sua casa. Ma quel giorno Luca non rimase zitto. Non parlò nemmeno, in realtà. Luca gridò. Anzi, inveì.

“Basta! Arpia, strega dalla lingua biforcuta, Cerbero! Esci di casa! Esci dalle nostre vite!”

Peccato che non si limitò a questo. Utilizzò improperi non riportabili, il tutto brandendo un coltello. Non che avesse intenti violenti, solo che stava affettando l’arrosto, per cui aveva in mano il coltello. A vederlo doveva fare paura. Talmente tanta paura che il cuore della suocera cedette. Non si sa se cedette all’indignazione o alla rabbia o al timore di finire affettata, ma smise di lavorare.

Quella volta fu molto semplice metterci una pietra sopra. Luca andava ogni giorno a guardare quella pietra, sorridendole tranquillo e riconoscente. Era libero. La sua ex-moglie aveva ragione: per risolvere un problema, basta metterci una bella, definitiva, tombale pietra sopra.

I Vecchi Compari – Pt. 10 Ognuno per la sua strada

Non fu un giorno felice per i Vecchi Compari. Sia chiaro, si trattava di un bisticcio passeggero, nulla di eccessivamente grave. La tensione per l’approcciarsi del Torneo aveva solo esacerbato qualche spigolo un po’ troppo pronunciato di qualche componente. Tutti sapevano, però, che all’allenamento successivo sarebbero stati presenti i quattro componenti, allegri e agguerriti come sempre. Ma quel giorno no, quel giorno Silvano non si allenò e non tronò da Rachele. Quel giorno Luca si allenò senza schemi e sbagliò tutte le mosse. Quel giorno Pietro non si impegnò e non fece sentire la sua risata ferrosa. Quel giorno Antonio seguitava a lamentarsi.

Quel giorno i Vecchi Compari presero strade differenti.

Iniziamo da Silvano. Silvano non si diresse a casa sua, ma a quella di Luca, scelta ovvia. Oltre a essere offeso per quello che aveva vissuto come un tentato omicidio da parte di Luca, Silvano aveva visto l’opportunità di sostituire effettivamente Luigino: il legittimo marito si sarebbe trattenuto con gli altri due per tutto il tempo dell’allenamento, nel tentativo di far sentire Antonio, se possibile, ancora più colpevole. Silvano aveva, dunque, libero accesso ad Anna che, quando lo vide sulla soglia di casa, lo fece entrare curiosa e preoccupata. Non si scambiarono molte parole, come potete ben immaginare. Anna ritrovò una consolazione e quella passione che i freddi numeri non erano mai riusciti ad accontentare. Silvano ritrovò un corpo caldo e vibrante, che non aveva paura delle fiamme dell’inferno. In quegli abbracci Silvano trovò una donna che chiedeva amore, e Anna trovò un uomo che sapeva amare.

Quando Luca tronò a casa, trovò una moglie sorridente, che non serbava più alcuna traccia di tristezza. Non ci fece molto caso, anche perché non era mai stato molto bravo a capire i sentimenti umani, molto meno chiari dei numeri. Si lanciò invece in un infervorato racconto della giornata, omettendo la boccia che era volata verso Silvano e il pianto disperato di Antonio all’ennesimo rimprovero. Si soffermò sulle sue capacità, sul molleggiamento delle sue ginocchia mai stanche, e sulla goffaggine di Antonio, che per poco non si slogava anche l’altra caviglia. Infine condivise con la moglie il dubbio che qualcuno della squadra nascondesse qualcosa. Era convinto che i segreti fossero come delle talpe: scavavano sotto terra, non viste e non sentite, togliendo terra e stabilità alle fondamenta più solide. Anna lo guardò un po’ accigliata: il marito non aveva mai sospettato di Luigino, o non lo aveva mai dato a vedere. “Non può essere che Pietro” concluse Luca “è lui il nuovo arrivato”.

Che Pietro avesse un segreto era chiaro anche a Antonio. Peccato che il suo negozio fosse fallito: quasi tutti nel paese erano suoi clienti, anche se nessuno voleva che gli altri lo sapessero. E tutti i clienti si lasciavano andare a confidenze o chiedevano consiglio. Luigino era stato il primo, e infatti non era molto contento di trovarsi Antonio in squadra. Ma la fornitura che lui e Alvise garantivano era di prima qualità e Antonio non si era mai fatto sfuggire nulla. Ora, scoprire il segreto di Pietro era diventato il secondo problema fondamentale per Antonio. Il primo rimanevano i debiti e la fuga di Alvise. Sperava con tutto se stesso che il segreto andasse a vantaggio della cotta che Antonio nutriva nei confronti del nuovo compagno di squadra, il che avrebbe spiegato anche l’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie. Grazie a questa vaga speranza, Antonio riuscì a riprendersi dal trauma causato da Luca, e iniziò a ideare la sua strategia per capire che cosa nascondesse il bel Pietro.

Antonio era nei pensieri di Pietro, ma non nel senso che Antonio avrebbe sperato. Pietro sapeva che la storia di Clara aveva acceso le malelingue del paese, tra le quali figurava anche Rachele. Ma non era la frigida Rachele e neppure l’innamorato Silvano a preoccuparlo. Antonio sapeva i segreti di tutti, e avrebbe tentato di carpire anche il suo. Guardò verso la fucina spenta e nera, ma rossa e viva nei suoi occhi. Ancora la vedeva, vedeva Clara là davanti, che gli gettava contro una sfilza di ingiurie, come carboni ardenti, la vedeva mentre lo derideva, mentre gli ricordava che mai avrebbe potuto dirsi veramente uomo. E sentiva ancora la soddisfazione quando le sue grida, coperte dal maglio e dal martello, erano state infine inghiottite dal ruggito del fuoco.

I Vecchi Compari – Pt. 9 Attimi di disperazione

“M-m-mi d-d-dispiace, r-r-ragazzi. S-s-sono i-i-inciampato” balbettava sconfortato Antonio. Nessuno si sarebbe mai scagliato contro Antonio: la sua faccia pallida e il tremito che lo percorreva avevano fatto nascere in tutti un senso di disagio. In tutti, tranne in Luca. Il capo degli Allegri Compari non tollerava imprevisti, che venivano considerati alla pari di insubordinazione, e, come tali, dovevano essere puniti. E Antonio era terrorizzato dalle punizioni, più di quanto Rachele, la moglie di Silvano, fosse terrorizzata dagli inferi.

“Una cosa dovevi fare, una! Prestare attenzione!” Luca era fuori di sé: occhi sporgenti e bava alla bocca, sembrava volersi avventare sulla povera vittima per ridurla in carne macinata. Se avesse messo questa passione nella relazione con Anna, pensò Silvano, probabilmente Luigino non avrebbe dovuto consolarla. Se avesse impiegato quell’energia con la moglie, pensò Pietro, avrebbe avuto qualche ragazzino da inviare come spia dagli avversari.

“Giocherai! Giocherai lo stesso! Dovessi puntellarti su una sola gamba! E ti allenerai con me!”

Antonio guardava supplicante Pietro: sapeva che Luca lo avrebbe massacrato, non gli avrebbe dato tregua. Ma Pietro non osò, né volle intervenire. Inoltre, Luca sembrava sull’orlo di una crisi di nervi, e non voleva dargli lui la spintarella finale.

Ci pensò Silvano a dargliela: “Luca, calmati, si sistemerà tutto. Lascia stare Antonio. Mi alleno io con lui, così tu puoi lavorare con Pietr…”

SBAM

Luca aveva lanciato la sua boccia dritto verso Silvano, con una mira che non sembrava essere stata alterata dalla rabbia. Quando perdeva le staffe, Luca non diventava cieco: al contrario, vedeva tutto molto meglio del solito. Silvano non dovette andare in ospedale solo perché ebbe l’accortezza di chinarsi e assumere una poco onorevole posizione fetale.

“Zitto, sono io il capitano! Io! Puoi tentare di prendere il posto di Luigino, ma non quello di capitano!”

“Tu sei matto” gli urlò Silvano alzandosi.

Quel giorno Silvano non si allenò, né con Pietro né con Antonio. Prese le bocce, prese la sua sacca, e con passo deciso imboccò l’uscita del bocciodromo.

Luca agguantò Antonio sibilando: “Tu stai qui, e giochi. E tu, Pietro, pure. Facciamo un gioco a tre, alla faccia dei numeri primi e dei numeri dispari. Magari è la volta buona che qualcuno si faccia male per davvero!”.

Così dicendo, scagliò la seconda boccia, questa volta verso il pallino, che venne sbalzato e rotolò verso il fondo del campo.

Pietro non lo contraddisse. Antonio cercava di scusarsi, ma il balbettio rendeva tutto poco chiaro. Almeno, per una volta, nessuno parlava di Clara o di Anna.

Attesa e rabbia

L’attesa è una sospensione generata da una promessa. La promessa è un’illusione che spesso affonda nel mare della vita e raramente raggiunge un qualche porto. L’attesa genera aspettative, le aspettative creano speranze, e le speranze disattese sfociano in un oceano di rabbia.

La rabbia non è mai la risposta ad alcun problema. La rabbia è il veleno che viene sputato in ogni direzione, e che crea altrettante ondate venefiche dalla forza corrosiva. Incanalare la rabbia per trasformarla in qualcosa di produttivo dovrebbe essere la risposta, ma non sembra essere così semplice.

Come si può domare Lissa, figlia della notte e del sangue di Urano? Neppure Eracle ha saputo resisterle e accecato ha compiuto la strage di ciò che più amava, moglie e figli. È una furia che non si ferma davanti a nulla, scaltra e veloce. È così facile per Lissa prendere dimora nel cuore degli uomini, già dilaniato da attese che sembrano non avere fine.

Nube tossica

Nera, velenosa, così fine da insinuarsi in ogni fessura, così grande da avvolgere ogni cosa, dentro e fuori.

Crea una cortina che distorce la realtà. I colori perdono brillantezza, le persone cambiano, diventano nemici subdoli pronti a colpirti alle spalle. Senti sussurri ostili, vedi il malvagità in ogni angolo.

Gli odori si spengono. Non hai voglia di inebriarti di primavera, né di sentire il dolce nettare della vita. Tutto il cosmo sembra volerti muovere guerra.

E il tuo corpo si fa pesante, il respiro sempre preso in ostaggio da dita sottili, metalliche, forti. Le viscere contorte, in un urlo silenzioso.

Vorresti urlare e chiedere aiuto, ma sulle labbra affiorano solo maledizioni, imprecazioni, accuse.

Vetri infranti

Mille schegge proiettate in cielo. Mille frammenti ricaduti al suolo. Un suono cristallino. Un breve momento e la delicatezza diventa tagliente nulla.

Luci riflesse e fasulle, che attirano e poi tagliano. Dolore. Gocce di sangue. Vetri infranti ovunque.

Perché ora, perché io?

Perché devo sempre fare la parte del don Chisciotte? Perché devo sempre rinunciare, stringere i denti, avere pazienza, guardare altri procedere spinti da fortuna o furbizia?

Perché io non ci riesco? Dove sbaglio?

E anche ora mi ritrovo a fare esattamente la stessa cosa. Chinarmi per terra, tra i vetri rotti. Prenderli in mani, provare dolore per ciò che è stato. Magari salvare un pezzo un po’ più grande, con cui fare l’arma che servirà per un altra battaglia.

Perché non mi concedete una tregua? Perché distruggete sempre tutto ciò che costruisco?

La mia rabbia cresce, le sue spire si stringono. Devo cominciare da capo, di nuovo. Devo ricominciare dalla sabbia e dal fuoco. Nella speranza di creare un cristallo ancora più bello.

Rabbia e paura

Al dolore è seguita la rabbia. O la rabbia si è affiancata al dolore e con la sua massa ingombrante l’ha assorbita e piegata al suo volere. Non lo so, ma di certo l’ira ha preso il sopravvento.

Lo stupore e l’incredulità hanno maturato frutti pieni di fiele, che con forza e violenza corrodono le carni.

Ti ho sempre voluto bene, più di quanto io potessi solo immaginare. Eri quella solidità che si dava per scontata, quel porto tranquillo anche quando il mare chiama a sé con violenza. Mai errore è stato più grande. Mai sottovalutare una fortuna così grande.

C’è stata quella maledetta tempesta che ha spazzato via il porto. Nulla da fare, nulla da ricostruire, solo un vuoto da colmare ricolmo di ricordi.

Non posso perdonare. Perché sei stato testimone alle mie vittorie, perché non mi hai visto cadere e farmi male, davvero male. Perché non hai visto le miei sconfitte e perché non mi hai potuto consolarmi con i tuoi modi un po’ burberi che mi piacevano così tanto. Non hai potuto vedere la mia rabbia e la mia forza.

E ho paura che i ricordi si affievoliscano, che mi rimangano impressi negli occhi solo gli ultimi istanti.

Non serve a nulla ricordare un passato perduto, vero? Bisogna imparare a costruire un futuro migliore. Ma è difficile e per ora i tentativi sono falliti.

Non ti ho perdonato, ma ti terrò sempre con me.

Medusa

Io ero bellissima. Ma guardatemi ora. Per colpa di un dio violento e di una dea invidiosa mi ritrovo in un corpo che non mi appartiene.

I miei capelli sono serpi. Il mio volto deformato. Ira, rancore e rimpianto mi scorrono nel cuore. Sono bloccata tra queste rocce, tutti mi rifuggono, io rifuggo tutti.

Il mio cuore non può amare, è di pietra. E in pietra tramuto chi osa guardarmi. È la mia maledizione.

Gorgone orribile, non conosco Amore. Poseidone lo esiliò dalla mia vita. E chi mai si avvicinerebbe a una donna dalla chioma repellente, strisciante, che cerca di mordere e stritolare.

Attorno a me solo pietra e statue di assassini. Sono coloro che hanno tentato di uccidere il mostro, trovando, però, la loro fine. Sono giovani, vigorosi, ma freddi. Per me loro sono un pericolo esattamente come io sono per loro un nemico. Hanno tutti lo stesso volto deformato di chi si rende conto che non vedrà più la luce del sole.

Quale sarà il mio fato?

Si sta avvicinando. Ha uno scudo che brilla, una spada affilata. È armato per andare in guerra, ma il suo avversario sono io, una donna. So che mi vincerà. È furbo e ha il sostegno degli dei.

Che venga. È ora che anche il mio volto si deformi in un’ultima smorfia di ira.