Paul era un investigatore, anche se non dei migliori, e ne era consapevole. Per lo più cercava persone che non volevano essere trovate, e ci riuscivano benissimo, loro, a non farsi trovare. Le uniche persone che aveva rintracciato erano una vecchietta scomparsa da qualche giorno, un cane scappato di casa, che forse non poteva essere propriamente annoverato tra le persone, un adolescente in crisi e un padre di famiglia. La vecchietta in realtà era rimasta scomparsa, nel senso che era passata a miglior vita: l’aveva trovata ormai mummificata nel suo appartamento, comodamente seduta sulla poltrona, come se lo stesse aspettando. Non un grande ritrovamento, quindi, tanto che era stato pagato la metà del compenso e nel doppio del tempo. Il cane era un’altra storia: ci aveva pensato l’animale a ritrovare la strada di casa, solo che i suoi padroni non lo sapevano. Per un caso fortuito anche Paul si stava recando dalla famiglia, e aveva atteso assieme al cane che aprissero la porta: il guadagno era stato enorme, visto che il suo ruolo si era limitato a suonare il campanello. L’adolescente si era rintanato dal suo amico del cuore, e già se ne era pentito, mentre il padre di famiglia era scappato con la bella collega di lavoro, salvo poi tornarsene a casa dopo essere stato abbandonato anche dall’amante.
Paul non era certo un investigatore di successo, ma non si faceva pagare molto, quindi qualche incarico arrivava lo stesso. Ma quello era un periodo di magra: sembrava che nessuno avesse perso qualcuno o qualche animale. Paul se ne stava nel suo minuscolo ufficio pieno di carte che non avevano ragione di essere lì, a cercare un modo per passare il tempo. E improvvisamente gli venne un’idea: avrebbe rivoluzionato il mondo dell’investigazione privata. O almeno del suo metodo investigativo.
Se per il momento non c’erano scomparsi da cercare, allora Paul avrebbe cercato per conto suo. Per fare esperienza iniziò dai propri sogni, e modificò la targa davanti all’ufficio in Investigatore privato di persone, animali, oggetti e SOGNI. Si ricordava bene su che cosa vagheggiava da bambino: si vedeva come un impavido archeologo subacqueo, alla ricerca di un’antica civiltà ingoiata dal mare. Ma da qualche parte, nella sua esistenza, quell’archeologo si era perso. Dove era andato? Paul non lo sapeva, e iniziò a cercarlo. Sapeva che fino all’adolescenza quel bel tipo abbronzato lo aveva affiancato sempre, anche nei momenti di sconforto, e gli aveva pure suggerito qualche risposta giusta nelle verifiche di storia. Al momento della scelta dell’università, però, era scomparso, e la facoltà di archeologia era rimasta solo una possibilità.
Non restava che cercare fra i banchi di scuola. Entrò in un pomeriggio, approfittando di un momento di distrazione da parte di una bidella. Cercò sotto e sopra i banchi, attorno alla cattedra, in giardino e per le scale, nei bagni e perfino nello sgabuzzino delle scope, ma non ci fu nulla da fare: dell’archeologo non trovò neppure un granello di polvere. Per scrupolo cercò anche all’università di legge: ci impiegò qualche giorno per riuscire ad accedere a biblioteche, aule studio e di lezione, mense e stanze dei docenti, ma non riuscì a rintracciare neppure il cappello dell’avventuriero.
Tornò scoraggiato nel suo ufficio: forse era vero che come investigatore non era poi il massimo. Non controllò la posta e neppure la segreteria telefonica. Tolse invece la targhetta e ne ordinò una terza: Investigatore privato di persone, animali, oggetti, SOGNI e SPERANZE. Se non riusciva a trovare i sogni, avrebbe provato con le speranze. E ricominciò le sue ricerche.
Furono giorni frenetici per Paul, che sembrava aver smarrito se stesso. Quando l’investigatore privato assoldato dalla preoccupata madre di Paul fece aprire la porta dello studio del collega, trovò l’uomo riverso sulla scrivania. In mano stringeva una targa: Investigatore privato di persone, animali, oggetti, SOGNI, SPERANZE e ILLUSIONI.
Secondo l’autopsia, Paul era morto non solo di stenti, ma anche di delusioni.