Ombre della notte

Quella sera non si respirava per l’afa, l’aria era immobile, neppure i grilli avevano il coraggio di innalzare il loro canto. Elena aveva creato uno spiraglio lasciando la finestra mezza aperta in modo l’aria notturna la accarezzasse mentre dormiva. La notte era silenziosa e sembrava una pesante matrona avvolta in un pastrano nero e senza decorazioni. La vita sembrava essere stata sospesa per quelle ore.

Mentre Elena si rigirava in preda a qualche sogno turbolento, dalla fessura della finestra si insinuò una sottile macchia nera: prima si mise di lato, poi si torse, si appiattì, si espanse e infine cadde senza rumore sul pavimento della stanza, per scivolare silenziosa verso il letto. Dopo pochi secondi una seconda ombra si intrufolò nella stanza con un faticoso movimento e con una giravoltola finale che le permise di atterrare nella stanza. Non aveva fatto a tempo di togliersi che con una contorsione ne scese una terza.

Se Elena avesse visto quelle strane ombre muoversi, si sarebbe spaventata, probabilmente avrebbe aperto la luce, rischiarando la sua consueta camera da letto. Ma Elena stava dormendo, e le ombre erano, almeno per il momento sicure. Non sono pericolose le ombre della notte: non hanno un corpo, sono fatte di oscurità e non necessitano di un corpo per muoversi, ma si dissipano alle prime luci per lasciare spazio alle ombre del giorno.

Sono semplici spiriti che escono nelle notti senza luna e che vanno alla ricerca di anime vive e scintillanti da poter ammirare.

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Paura del buio

Da piccolo aveva paura del buio, e anche ora che non poteva certo dirsi bambino quel timore continuava a tormentarlo. Era una paura del tutto legittima: il buio nasconde qualsiasi cosa, anche le ombre, annulla lo spazio, benda gli occhi e riempie il vuoto di suoni e sussurri.

Era stata sua mamma a rendere sopportabile quella fobia, regalandogli un lumino capace di illuminare gentilmente la stanza. Allora la notte si popolava di forme e di immagini in bianco e nero, veniva abitata da creature che non lo facevano mai sentire solo.

Ancora aveva bisogno di quella luce, anche se non doveva essere per forza reale. Bastava chiudere gli occhi e accendere una dopo l’altra centinaia di lucine, fiaccole e candele. Nella sua mente la notte diventava cielo stellato e il buio veniva squarciato con forza inaudita da mille lucciole impazzite.

Danze di colori

Le ombre che ho visto danzare non erano oscure, ma sgargianti come schegge di colori, taglienti come vetri. Ho visto danzare ombre che non temono la luce, ma si divertono a scherzare con i raggi.

Erano ombre delle mente, depurate dalla loro più oscura aurea. Erano ombre del cuore, custodite con affetto e gelosia. Erano ombre un po’ tristi e un po’ nostalgiche, ma ridevano come una volta.

Corpi senza corpi si libravano in aria. Materia inconsistente scivolava senza rumore. Attorno un caleidoscopio di forme che mutavano e scherzavano.

Nella terra delle ombre, i ricordi non rifuggevano la luce, ma la cercavano allegramente, come un’allodola rincorre il riflesso del sole.

Falene

In un mondo di inganni, ci aggiriano come falene in una selva di ombre e di incertezze. Il sole è solo un ricordo del giorno passato, una semplice linea rosata all’orizzonte, pronta a sprofondare nell’oscurità. Ombra fra le ombre, le falene si agitano tra piccoli soli che promettono vita e che regalano solo una bruciante ferita.

In un mondo di bugie, le falene continuano la loro danza sgraziata attorno a fuochi che imitano grotteschi una vita che non conoscono. Forse in cuor loro le farfalle notture sanno che è tutta un’illusione, che quella pazza notte finisrà in un buio non rischiarato nemmeno da delle semplici lanterne. Forse sanno che oltre quel vetro su cui si affannano a bussare non c’è nulla per loro, solo una delusione, ma continuano il loro gioco, continuano a battere le ali finché possono.

In un mondo di ombre, le falene cercano di trasformarsi pure loro in ombre, per non essere bruciate dalla fiamma che tanto agognano. Vestono un manto nero come la notte senza stelle e senza luna, non fiatano, e si nascondono appena al di fuori del cerchio di luce che, tremolante, cederà all’oscurità la sua timida forza.

Ombre pesanti

Eccole che si infiltrano anche attraverso le sbarre più resistenti e più strette. Sono ombre della notte, pesanti come incubi, incorporee come sogni. Si stringono per poi dilatarsi immediatamente, non hanno forma, si adeguano e scivolano silenziosamente nella stanza in cui il malcapitato guarda impotente l’ombra scura piombare a terra, seguita subito da un’altra e poi da un’altra ancora. Le ombre della notte non hanno corpo, ma hanno una sostanza che solo chi le vede può percepire.

Si avvicinano strisciando, si insinuano tra le palpebre dei dormenti, penetrano nelle viscere e nel cervello per depositarvi il loro peso, per sussurrare con voce che non ammette replica, la voce certa di chi sa la verità, frasi che dovrebbero essere taciute, dubbi che dovrebbero meritare l’esilio dalla mente. Le ombre richiamano ricordi e persone, grida e suppliche, fantasmi del passato e spettri del futuro. Il petto fatica a respirare, oppresso da una forza invisibile, eppure così reale.

Il sonno si fa agitato, la veglia si colma di sudore e paura. Non si può trovare pace dopo che le pesanti ombre della notte hanno fatto irruzione. Non si può ignorare la loro presenza, come se fosse un semplice parto della mente. Non si può nemmeno urlare per chiedere aiuto, perché le finestre da cui sono entrate le ombre hanno le sbarre, sono finestre di una prigione. Nessuno arriverà in soccorso, se non la timida luce del mattino, che renderà le ombra sempre meno scure, fino a dissiparle come semplice foschia. E affacciandosi, quel raggio salvifico troverà un uomo sfatto di timore.

Ombre di paura

E se avessi paura? Adesso più che mai.

Paura di sbagliare, proprio ora. Paura di perdersi, di imboccare un vicolo cieco, di non trovare la strada, di smarrirla o di sbagliarla.

Paura di cambiare e di rimanere uguali, di partire e di fermarsi. Di errare senza bussola in luoghi sconosciuti.

Paura della solitudine, del silenzio, della lontananza. Di vivere e di morire.

Paura di farsi male e di fare del male. Di essere inopportuna, di osare troppo o troppo poco.

Paura di sognare e di rimanere intrappolata nei sogni.

Paura di diventare un essere meschino e piccolo.

Paura di essere amata. Di non essere all’altezza. Di non essere mai abbastanza.

Paura della sconfitta, della mediocrità, del grigiore quotidiano.

Sono le ombre che infestano la notte e che tolgono il fiato nei momenti di tranquillità. Non se ne sono mai andate, ma ora si ergono davanti a me più corporee che mai.

Ombre

Questa è una ben strana città. Se quelle che voi abitate sono fisiche, hanno una massa e un peso costante che grava sulla terra, questa è fatta della stessa sostanza di un sogno. Voi vi potete sfiorare, potete appoggiarvi ai muri, camminare sulla strade, distendervi sui prati. Tutto ciò qui è impossibile, perché questa è la nostra città, è la città delle ombre.

Gli abitanti sono una moltitudine, ma sono sottili, hanno una sola dimensione. Il loro volto è sfocato, per questo è impossibile riconoscerli. Non posseggono colori, né odori. La loro presenza è impercettibile. Quando il sole è alto in cielo, inoltre, scompaiono, esattamente come fa un sogno alla mattina. Al tramonto diventano, invece, dei giganti longilinei che avanzano tremolanti, assottigliandosi sempre di più.

Non camminano, ma aleggiano e fluttuano leggeri. Non sentono la pioggia né l’arsura,non temono malattie né la fame. Il tempo per loro non esiste, conoscono solo la differenza fra luce e notte. Gli hanno non solcano il loro viso, i decenni non piegano la loro schiena.

Il loro unico nemico è l’oscurità, nonostante siano della medesima materia del buio, per buio, per cui di notte le ombre si deformano, diventano mostri capaci di spaventare adulti e bambini, si espandono, perdono consistenza e infine scompaiono.

Anche gli edifici in cui si trascinano hanno la medesima materia. Non sono dotati di finestre o di porte, anche perché i muri non sono un ostacolo per queste ombre. Li attraversano e si aggirano fra le altre ombre di uomini, animali e oggetti.

È una città parallela e opposta alla vostra, un riflesso mutevole, incostante, eppure allo stesso tempo uguale e monocromo. Niente è fisso, tutto può variare e scomparire. Non siamo soggetti alla morte, ma all’oblio.