Luca e Antonio avevano avuto lo stesso sospetto, senza essersi mai parlati. Entrambi avevano intuito la verità già da tempo, ma, non volendo perdere un compagno con il rischio di essere squalificati dal Torneo, avevano deciso entrambi di aspettare l’ultimo momento per esporre le proprio perplessità agli ufficiali dell’ordine.
Ma andiamo con ordine, e partiamo da Luca.
Luca aveva amici molto scaltri e amanti del genere poliziesco. Oltre alla retata che avevano fatto a casa di Pietro, c’era stato un altro tentativo, più scaltro, per scoprire il segreto del fabbro. Uno di loro, un impeccabile professore di greco antico, si era presentato alla fucina di Pietro, chiedendo il preventivo per una testata del letto in perfetto stile ionico. Pietro lo aveva fatto accomondare nel laboratorio, nel tentativo di capire che cosa fosse quel dannato stile ionico. Non lo aveva compreso, ovviamente: il professore si era dilungato in lunghe descrizioni di capitelli (e quando mai una testata del letto in ferro aveva i capitelli?), riccioli, diramazioni, foglie, fiori, fiorellini, api, e chi più ne ha più ne metta. A Pietro venne un bel mal di testa, oltre a un certo sconforto, e si allontanò per prendere un catalogo di testate di letto per cercare quella che più si avvicinasse ai gusti del cliente. Mentre il padrone era lontano, il professore aveva dato uno sguardo, non certo disattento, al laboratorio: nulla di strano, se non che nella fornace buia e spenta, riluceva qualcosa di piccolo. Il professore lo riconobbe subito: era una fede. Fece appena in tempo a nasconderla di nuovo fra le ceneri, prima che arrivasse Pietro.
Antonio si era affidato, invece, ai suoi amici del bar, che avevano una rete di informatori da far invidia al miglior investigatore. Erano riusciti a risalire alle amiche della signora Clara, che avevano confermato i dubbi di Antonio: la donna non si faceva viva da mesi. Erano persino risaliti a un numero lodevole di amanti, tutti contrariati dalla scomaprsa repentina di Clara, che non aveva più risposto ad alcun messaggio. Temevano che il marito avesse scoperto qualcosa, cosa non strana, pensò Antonio, vista la quantità di relazioni parallele che riusciva a mantenere. Era il ragazzino, però, il moccioso cacciato in malo modo da Pietro, a essere la chiave di volta. Lui aveva visto tutto: si era affacciato alla finestra attratto dalle grida del litigio, e aveva visto le fiamme mangiare il volto terribile e vendicativo di un’erinni che non avrebbe mai lasciato in pace la sua vittima.
Il ragazzo e l’anello erano prove che non potevano essere ignorate. Il Torneo era però più importante di un morto che non sarebbe certo stato portato in vita: qualche giorno di ritardo non avrebbe cambiato niente. Il Torneo era tutto, era il riscatto da una moglie scontenta e da un fallimento rovinoso, da una vita passata nell’ossesione dei numeri, e da un’esistenza senza più amore.
“Lasciatemi almeno disputare la finale” chise Pietro.
Il Torneo era un evento fondamentale per il paese, e le Bocce del Conte stavano antipatici a tutti, anche se nessuno lo avrebbe ammesso, per cui i gendarmi non fecero obiezioni alla richiesta di Pietro. La finale si disputò, sotto l’occhio vigile delle forze dell’ordine. Le Bocce persero, grazie all’uso magistrale della mossa dell’Incatenato da parte di un Pietro che non sorrideva più tanto.
Tra lo stupore di tutti, e lo scandalo di Rachele, Pietro divenne il perfetto esempio dell’ammanettato. Antonio lo guardò scomparire nella macchina con un po’ di tristezza, ma non balbettò più. Anche Luca sospirò pensieroso guardando la pattuglia andarsene e cercando Anna tra la folla: non la trovò e sentì di aver perso un altro amico, meno pericoloso di Luigino.
Il Torneo passò alla storia, è chiaro. Per la sconfitta delle Bocce e per l’arresto del fabbro. L’unico a rimanere perplesso fu Silvano, che era così concentrato sulla sua preda da non aver notato nulla di strano in Pietro. Ma, al contrario della moglie di Rachele, non se ne rammaricò: aveva vinto il Torneo, aveva trovato l’amore, e non poteva certo biasimare Pietro, perché ne capitava perfettamente il gesto. Lo stava immaginando anche ora, mentre sentiva sulla nuca gli occhi arcigni di Rachele.
FINE