Multiforme – Pt. 6

“Duchessa, ma che piacere incontrarla nuovamente”.

“Conte, potrei dire lo stesso, ma ho passato troppo poco tempo con la sua persona per poterlo affermare con sicurezza”.

“Mi lasci rimediare. Mi è sembrato di capire che non abbia un accompagnatore. Mi farebbe l’onore di pranzare con me? Sa, anch’io viaggio da solo e non conosco nessuno”.

“Certo, caro, ma non mangeremo da soli, sarebbe sconveniente, non crede? Potrei pensare che punti a qualche cosa d’altro della mia compagnia”.

“In effetti ha colto nel segno: aspiro ad altro, come essere introdotto in questa bella società galleggiante. Sono passati due giorni, e ancora non ho conosciuto nessuno”.

“Allora è fortunato, come le dicevo pranzeremo con qualcuno. Cameriere! Può aggiungere un posto al mio tavolo?”

Mi ritrovai seduto su un vasto tavolo rotondo, stretto fra la duchessa e un voluminoso e rumoroso commensale.

“La metto vicino al signor Paul. Paul, il conte Mortimer”.

Con un sorriso tutto bricioli e tendendomi una mano unticcia mi salutò “E ha un nome questo conte?”

“Ulysses. Anch’io mal tollero i titoli”.

“Beati voi che li potete vantare, i titoli. Io no, non sono giovane, ma mi sono fatto strada nel mondo grazie alla mia impresa. Non come mio fratello: quello al massimo può viaggiare in seconda classe, ben che vada”.

“Di che cosa si occupa, Paul?”.

“Alimentare. Ho un mattatoio. Non avete di idea di quanti mangi questa popolazione. Non vedo l’ora di vedere se si possono fare affari simili oltreoceano”.

“Molto interessante. Suo fratello invece?”

“Che vuole, ogni famiglia ha la sua pecora nero. Mio fratello è un commissario della polizia. Un lavoro che non ripaga e che non ha orari”.

“Commissario?”

“Certo, qualcosa non va? In effetti sì, i McMiller sono sempre stati degli imprenditori, non certo dei cani da caccia al guinzaglio di qualche passacarte”.

Il commissario McMiller.

Multiforme – Pt. 5

In una nave la tecnica deve cambiare, anche perché il tempo in luoghi di questo tipo, cambia, si dilata, almeno nella testa dei passeggeri. Non sono possibili gite fuori porta, il paesaggio è una monotona distesa di acqua, e i commensali sono i soliti compagni di viaggio. Quello che hanno bisogni i ricchi fortunati della prima classe è di una distrazione, e se si vuole entrare nelle loro grazie, è meglio trovare il modo per garantirla. E a due giorni dalla partenza ancora non avevo capito come fare: una perdita di tempo inaccettabile.

E Annette, una ragazza piacente che si occupava delle pulizie, costituiva una tessera fondamentale per ottenere le giuste informazioni.

“La duchessa di Greville?” mi chiese dubbiosa mentre si rivestiva. “E chi sarebbe?”

Peccato che la ragazza non avesse nessun interesse per i nomi. Per lei era solo una questione di numeri di camere e di fissazioni di chi vi alloggiava.

“Una vecchia signora, che viaggia da sola verso l’America per incontrare suo nipote” le spiegai.

“Può essere che sia la stanza 106. Più che stanza è un appartamento, ma è evidente che ci sia qualcuno di anziano, vista la quantità di coperte e di corpetti che non vanno più di moda. Una donna sola, comunque: nessuna foto, nessuna lettera da parte di nipoti. Anzi, una foto c’è, messa propria sulla specchiera: è di un cane, uno di quelli piccoli, con gli occhi sporgenti”.

Mi alzai e le cinsi la vita. “Uhm, neppure io ho foto”. “Già, un uomo solo, ma moderno, con una certa passione per i capelli” mi disse con una risata indicando la pomata vicino allo specchio.

“Perché ti interessa quella vecchia?”.

“Magari ho degli strani gusti”. Le diedi un morso scherzo su una spalla e mi affrettai a vestirmi. L’ora del pranzo era vicina.

Fruscio

Si sente un mormorio provenire da fuori, un sussurro. Sembra pioggia leggera, ma non c’è acqua: è solo lo scherzo del vento che si struscia tra le foglie leggere.

Nic si lascia cullare da quel rumore. Sente quella voce sommessa e le regala un corpo, verde come le fronde che scuote, trasparente come la forza che lo anima. E desidera di essere fatto della stessa materie, o forse è convinto di essere fatto allo stesso modo.

Non ha più capelli, ma stralci di nubi che vengono allungati dalla forza del vento. La pelle scompare sostituita dalla corrente gentile che modella i monti e che li rende sabbia. E i vestiti sono abbandonati su una roccia. Nic è lì, ma allo stesso tempo viaggia, veloce, tra i rami di un albero, sulla distesa arida di un deserto o forse su quel mostro multiforme dell’oceano.

Si perde e non riesce a trovare la strada per tornare. Vorrebbe urlare, ma la sua voce rieccheggia debole fra le montagne. Vorrebbe scappare, ma i piedi prendono una direzione che Nic non riesce a controllare. Vorrebbe piangere e ribellarsi, ma le lacrime non scorrono e i pugni non colpiscono nulla se non il cielo.

Presto o tardi un temporale lo ricondurrà a casa, per mano. Lo depositerà nello stesso punto in cui si trova ora, con il volto girato verso il cielo. Nic sarà scosso, cambiato e arrabbiato. Ma sarà anche più vivo.

Multiforme – Pt. 3

Le navi sono luoghi sospesi in un limbo di indeterminatezza. Basta così poco per spingerle fuori rotta o per farle crollare nell’oblio degli abissi marini. Non che avessi molte aspettative da questo viaggio: il mio intento era solo quello di divertirmi, prendere spunto per dare al conte Mortmer un passato abbastanza affascinante per qualche signora della buona società del paese in cui tutto era possibile. L’Inghilterra era diventata troppo stretta per una mente come la mia e soprattutto per i miei misfatti. C’era un poliziotto, un mero commissario, che si stava interessando un po’ troppo ai casi in cui ero coinvolto, e che stava facendo dei legami che mi avrebbero potuto causare problemi.

Ma per essere un ottimo truffatore bisogna avere ottime spie, anche tra coloro che dovrebbero darti la caccia e impedirti di continuare a compiere misfatti. E quindi mi imbarcai a spesi del conte Mortimer. Anche se ancora non sapevo che questo viaggio si sarebbe rivelato tanto pericoloso quanto proficuo.

Se doveste mai affrontare un viaggio transatlantico, vi consiglio la prima classe: non vi accorgerete neppure che state galleggiando su un guscio di noce in mezzo a un deserto liquido. Il personale poi è squisito: si sono comportati in modo ineccepibile con il conte Mortimer, soprattutto una cameriera giovane e carina, probabilmente attratta dal titolo e dalla prospettiva di una mancia cospicua, che ovviamente ricevette. Altra regola fondamentale è farsi amici tra camerari e governanti: hanno orecchie e occhi ovunque, sono custodi di segreti molti utili.

La piccola e non certo innocente Annette: tanto utile quanto pericolosamente chiacchierona. Se fosse stata più discreta, non avrei dovuto sporcarmi le mani anche in questo viaggio.

Passeggeri – Pt. 12 Capolinea FINE

Ogni viaggio, come ogni esperienza, deve arrivare a una sua conclusione. E lo stesso per il treno di notte. Alla fine tutto si ferma, la corsa perde completamente la sua forza, si affievolisce e non trova più l’impulso che lo possa spingere oltre.

L’arrivo al capolinea implica che anche le anime più indecise devono scendere e perdersi nella vasta terra che se ne sta immobile e che si apre con i confini inesplorati. Dentro le carrozze tutto è più definito e più sicuro, assume i confini conosciuti che lo sguardo può abbracciare.

Il capolinea segna la fine dei sogni, le palpebre riprendono il loro ritmo dopo che gli occhi sgranati si erano persi nella notte. E dopo un sospiro il viaggiatore che si attarda, abbandona la sicurezza di una carrozza, e, con un sospiro, torna alla vita.

Passeggeri – Pt. 11 Controllore

Non molti amano il Controllore su questo treno, in realtà in nessun treno. È probabile che il nome non aiuti molto, dato che a nessuno piace essere controllato.

Tenere sotto controllo anime vaganti non è semplice, perché si rischia di cadere nello stesso abisso che si vede negli occhi di alcuni passeggeri. Il controllore incrocia per pochi istanti vite che non gli appartengono e non rispondere alle richieste d’aiuto che tacite lo raggiungono.

Il Controllore aveva già commesso degli errori quando era inesperto e la sua anima cercava di aiutare le sue simili. Ma quella donna, quella ragazza con il mare negli occhi e il dolore nella carne. E quando il dolore diventa parte dell’esistenza, viene trasmesso anche a chi sta vicino.

Lo stava trascinando e non verso un porto sicuro, ma verso il vuoto in cui la vita stava trascinando la ragazza. Non era riuscito a salvarla, ma aveva perso qualche cosa di sé.

E da quel momento si era ripromesso che a quelle persone non avrebbe chiesto altro se non il biglietto. Si era trasformato, si era nascosto come il paesaggio che invisibile sfrecciava al di là del vetro. Anche se talvolta era molto difficile.

Passeggeri – Pt. 8 Arrivare

L’importante è arrivare alla meta: è una convinzione comune che non ha molto senso, almeno non per queste creature che si sono rannicchiati in sedili consumati e che guardano fuori dal finestrino alla ricerca di un paesaggio inghiottito dal buio.

Sembra quasi che si voglia cancellare il tempo sospeso del viaggio, durante il quale i confini cambiano, i nomi di città e paesi mutano repentini, annullando in questo modo la distanza tra partenza e arrivo. Eppure talvolta si desidera che questi momenti inafferrabili si prolunghino in un vagabondaggio senza confini e senza limiti, per fuggire all’ignoto dell’arrivo, a quelle tenebre che il treno si lascia indietro.

Negli scompartimenti la si può quasi toccare, la leggera ansia dell’arrivo. È formata dalla paura di lasciar passare la fermata perfetta, o di no raggiungerla. Si può percepire lo sgomento di aver sbagliato, di non aver capito che treno prendere o in quale stazione scendere.

L’arrivo porta sempre con sé delle complicazioni, perché quando si chiudono le porte del treno si apre l’immenso mondo che non è delimitato da una latta di metallo.

Passeggeri – Pt. 7 Viaggiare

Che treno è mai questo che avanza nella notte con il suo carico incompleto di anime che non riescono a trovare il loro posto nel mondo? O forse qualcuna ha scovato la propria casella e l’ha trovata troppo squallida per essere accettata.

È un treno colmo di sogni. Anche chi si è perso, anche chi trova le rotaie così rassicuranti per la loro immutabilità, è capace di sognare. Ognuno custodisce nel suo cuore un’immagine, un obiettivo colmo di illusione e di speranze.

È un treno colmo di paura e di dolore, di violenza e di dolcezza. I passeggeri lo sentono, lo percepiscono nell’aria, per questo mantengono le distanze gli uni dagli altri. Nessuno osa sedersi di fronte a un altro, come se si volesse evitare la possibilità che gli occhi si incrocino. Nessuno nemmeno rivolge la parola ai compagni di quel breve tratto di vita. Scivolano come ombre dentro e fuori lo scompartimento, dentro e fuori il serpente di ferro per essere inghiottiti dal buio esterno o dalla luce fioca all’interno.

E talvolta sono fiochi i lampi che attraversano gli occhi.

Passeggeri – Pt. 6 Luna

Vai a sapere perché i genitori l’avessero chiamata come un satellite. Capisco una stella, un pianeta, ma un satellite condannato a rimanere in equilibrio tra la fuga e la rovina non porta molto bene. C’era chi apprezza il suo nome, dopotutto era il volto che rischiarava la notte, tanto da essere stata trasformata in una divinità. Ma erano lontani quei tempi.

Luna aveva abbandonato gli studi non appena aveva potuto. Non era fatta per seguire le righe sui libri, non capiva neppure cosa le volessero dire. Date, formule, commenti non facevano parte dei suoi interessi. Lei era un animale notturno, forse proprio a causa di quel nome. Avrebbe potuto diventare una scienziata secondo suo padre, ma lei aveva preferito la strada della magia.

Non che avesse strani poteri, affatto. Ma la gente tende a credere a una persona dalla faccia rassicurante e con un nome terrestre. L’avevano accusata di essere un’impostora, ma alla fin fine si limitava a dire ciò che le persone vogliono sentire. Per il denaro che chiedeva, si trattava solo di un modo per sopravvivere.

Non si trovano spesso persone capaci di spronare i desideri più ambiziosi, la tendenza più comune è quello di affossare. È una capacità per la quale si può pagare.