In una nave la tecnica deve cambiare, anche perché il tempo in luoghi di questo tipo, cambia, si dilata, almeno nella testa dei passeggeri. Non sono possibili gite fuori porta, il paesaggio è una monotona distesa di acqua, e i commensali sono i soliti compagni di viaggio. Quello che hanno bisogni i ricchi fortunati della prima classe è di una distrazione, e se si vuole entrare nelle loro grazie, è meglio trovare il modo per garantirla. E a due giorni dalla partenza ancora non avevo capito come fare: una perdita di tempo inaccettabile.
E Annette, una ragazza piacente che si occupava delle pulizie, costituiva una tessera fondamentale per ottenere le giuste informazioni.
“La duchessa di Greville?” mi chiese dubbiosa mentre si rivestiva. “E chi sarebbe?”
Peccato che la ragazza non avesse nessun interesse per i nomi. Per lei era solo una questione di numeri di camere e di fissazioni di chi vi alloggiava.
“Una vecchia signora, che viaggia da sola verso l’America per incontrare suo nipote” le spiegai.
“Può essere che sia la stanza 106. Più che stanza è un appartamento, ma è evidente che ci sia qualcuno di anziano, vista la quantità di coperte e di corpetti che non vanno più di moda. Una donna sola, comunque: nessuna foto, nessuna lettera da parte di nipoti. Anzi, una foto c’è, messa propria sulla specchiera: è di un cane, uno di quelli piccoli, con gli occhi sporgenti”.
Mi alzai e le cinsi la vita. “Uhm, neppure io ho foto”. “Già, un uomo solo, ma moderno, con una certa passione per i capelli” mi disse con una risata indicando la pomata vicino allo specchio.
“Perché ti interessa quella vecchia?”.
“Magari ho degli strani gusti”. Le diedi un morso scherzo su una spalla e mi affrettai a vestirmi. L’ora del pranzo era vicina.