Multiforme – Pt. 4

La nave salpò. Anch’io mi unii a quanti se ne stavo sul ponte a salutare i propri cari rimasti a terra, anche se non c’era nessuno venuto a augurarmi un buon viaggio. Mi parve di scorgere il cappello di un certo commissario, ma la fantasia può giocare brutti scherzi: le indagini non erano certo arrivati al punto da ricollegare l’omicidio del conte alla scia di morti misteriose e truffe argute che mi ero lasciato sulla terraferma. In ogni caso, il cappello era sul molo, mentre io stavo salpando verso una terra in cui le mie mani non avevano ancora operato.

“Chi sta salutando figliolo?”

Le anziane signore sono così premurose: si impegnano con il massimo sforzo a cadere tra le braccia del primo malfattore. Fortuna che io non sia un ladruncolo da quattro soldi.

“Mia sorella, signora…”

“Margaret, duchessa di Greville”.

“Duchessa, piacere. Ulysses Mortimer, conte, per servirla. E lei, chi sta salutando?”

“Quel tontolone di mio nipote. Non saprebbe distinguere il suo volto dal muso di un asino. Non che sia una grande differenza. È da settimane che protesta: prima dice che il viaggio è troppo lungo per una persona anziana, poi che in America non avrei trovato niente. Certo, niente a parte suo cugino, un uomo di talento. Ve lo dico io conte: aveva paura che le mie sostanze prendano un’altra via.”.

La vecchia era ancora in gamba, ma era lenta e acciaccata. Era vestita con lusso, ma con una moda che ormai apparteneva al passato. Ma gli anelli che sfoggiava suggerivano una grande ricchezza. Meglio mantenere i contatti con persone del genere, in modo da poterne approfittare al momento opportuno. Duchessa di Greville: se fossi stato sulla terra ferma non avrei atteso a iniziare il mio corteggiamento. Ma in una nave, la tattica deve cambiare.

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Tutti in carrozza – Pt 3

“Tutti in carrozza”

“Fermate la strega”

Le due urla si sovrapponevano nella mente di Ivanne mentre il treno scivolava fuori dalla stazione, lontano da Luc, lontano dal passato.

Strega. Molti l’avevano chiamata in quel mondo. Se fosse stata davvero una strega di Luc non sarebbe rimasto nemmeno un dente. Era un’erborista, molto semplice: aveva imparato l’arte dalla vecchia nonna con cui era cresciuta. Radici e bacche non avevano segreti, foglie e fiori erano la sua specialità. Luc non tollerava quella sua capacità. Luc non tollerava nulla che fosse strano, in effetti.

E mentre il treno prendeva velocità, si rese conto della scomodità del sedile, le gambe iniziarono a dolerle e il suo pensiero si fermò sulla necessità di fare una passeggiata e abbandonare quella rigida posizione, nonché gli avidi occhi del vicino.

Ivanne si alzò e uscì nel corridoio.

Tutti in carrozza – Pt 2

“Tutti in carrozza” sbraitò il capotreno. Dopo aver ondeggiato, l’ombrellino scomparve e Andrea si fece strada fra la folla per prendere posto su una delle malmesse panche.

“Tutti in carrozza” urlò il capotreno e Ivanne chiuse l’ombrellino per entrare nella confortevole carrozza di prima classe, seguita da un valletto che le portava i bagagli.

Una volta seduta, tirò un sospiro di sollievo: alla banchina non si era presentato il marito, nessuno aveva tentato di trascinarla di nuovo a casa. Forse vedendo la cassaforte vuota, al povero Luc era venuto un infarto. Poco male: in tal caso sarebbe diventata una vedova, ancora più libera di quanto non lo fosse in quel momento.

Ivonne stava scappando verso l’ignoto, ma odiava i disagi della povertà. Non era neppure la prima volta che sceglieva quella strada: qualche anno fa era stato Luc a salvarla da una povertà assoluta. Ma ora era Luc a toglierle il fiato, e quindi Ivonne gli aveva tolto il denaro. Una giusta ricompensa.

Il treno sbuffò e iniziò a muoversi. Lontano si sentì un grido “Strega, ladra!”.

Valigia

Mancano ancora pochi giorni, e poi dovrò aprire le valigie, riempirle e andarmene. Non è stato un anno facile. Come una pianta sdradica e piantata lontano, in un terreno sconosciuto, ho faticato, ho avuto paura di non farcela, di soccombere. Ma alla fine anche le radici più timide riescono a trovare il nutrimento, per quanto sterile sia il suolo.

Ho vissuto in una città che non è mai stata casa, capace di raggiungere apici di bellezza e baratri di squallore. Un diamante nella notte non risplende, perciò il fascino di questo posto ha sempre una nota amara.

Ho conosciuto persone ostili che si sono rivelati essere impensabili alleati, e fate benevole che mi considerano meno di una formica. Ho lottato, contro chi mi ha messo alla prova, e contro me stessa.

Dopo fatica, un bel po’ di lacrime e una dose di rabbia non indifferente, sta finendo tutto. Ho lasciato tutto, ho rinunciato a qualsiasi cosa, ho accettato umilmente e non ho mai chiesto niente. Ho sopportato una solitudine nera e inaspettata, che con le sue unghie continua a graffiare il cuore.

E in mano non mi resta nulla. Elogi e promesse sono elargiti solo alle ragazze affsscinanti ed estroverse, che elargiscono baci e dolcetti. Non certo al mulo che ha abbassato la testa e ha cercato di dare il meglio sempre.

Un’altra porta chiusa.

Non mi resta che preparare le valigie. È ora di metterci dentro la bellezza che ho intravisto, la forza che ho imparato a avere, le risate improvvise. Che rimangano fuori le delusioni, il rammarico e il dolore.

È ora di partire, è ora di cercare il mio luogo.

Un viaggio nella notte

È mattina presto. Esattamente sono le 6.30. Mi trovo in stazione per prendere il treno delle 6.50 che mi porti a casa. Il binario di partenza è il 9, ma nel cercarlo scopro che si trova lontano dagli altri. Le indicazioni mi portano in un angolo della stazione, una specie di cunicolo vicino ad una zona a cui un cartello vieta l’ingresso. L’aspetto è quello di un’ala della stazione aggiunta in un secondo momento e non ancora del tutto ultimata.

Dopo essermi fermata un po’ perplessa, mi incammino con gli altri passeggeri lungo il corridoio. Non so bene come, ma infine mi ritrovo su un nastro mobile che prende sempre più velocità.

“Una passerella mobile, come negli aeroporti. Che efficienza” commento rivolgendomi a una ragazza vicino. Dietro di me due uomini chiaccherano tranquillamente.

Il nastro corre sempre più veloce. Come impazzito scorre veloce, superando strane scale di pietra grigia. A sinistra il fianco della montagna, a destra un abisso.

Continua la corsa. Curve improvvise spingono verso lo strapiombo, che sembra chiamarmi a sé. Un pensiero va alla mia vicina che si trovava pericolosamente vicino al bordo e che ora non vedo più. Eppure nessuno degli altri passeggeri ha dato segni di preoccupazione, nessun grido d’aiuto si è sentito.

“E nel passato, come facevano. Di certo, prima del nastro, qualcuno si era dovuto inerpicare per quelle scale”

Finalmente arriviamo ai binari. Nessuna banchina,nessun cartello. Solo i binari luccicanti sulla terra bruna.

Scopro con un certo dispiacere che il treno non è diretto, ma un “Express” che mi avrebbe portato a una tappa intermedia.

Suona la sveglia. A volte Morfeo è proprio strano.