Fruscio

Si sente un mormorio provenire da fuori, un sussurro. Sembra pioggia leggera, ma non c’è acqua: è solo lo scherzo del vento che si struscia tra le foglie leggere.

Nic si lascia cullare da quel rumore. Sente quella voce sommessa e le regala un corpo, verde come le fronde che scuote, trasparente come la forza che lo anima. E desidera di essere fatto della stessa materie, o forse è convinto di essere fatto allo stesso modo.

Non ha più capelli, ma stralci di nubi che vengono allungati dalla forza del vento. La pelle scompare sostituita dalla corrente gentile che modella i monti e che li rende sabbia. E i vestiti sono abbandonati su una roccia. Nic è lì, ma allo stesso tempo viaggia, veloce, tra i rami di un albero, sulla distesa arida di un deserto o forse su quel mostro multiforme dell’oceano.

Si perde e non riesce a trovare la strada per tornare. Vorrebbe urlare, ma la sua voce rieccheggia debole fra le montagne. Vorrebbe scappare, ma i piedi prendono una direzione che Nic non riesce a controllare. Vorrebbe piangere e ribellarsi, ma le lacrime non scorrono e i pugni non colpiscono nulla se non il cielo.

Presto o tardi un temporale lo ricondurrà a casa, per mano. Lo depositerà nello stesso punto in cui si trova ora, con il volto girato verso il cielo. Nic sarà scosso, cambiato e arrabbiato. Ma sarà anche più vivo.

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Punti nel cielo

Luc guardava il cielo ini continuazione, ogni volta che ne aveva l’occasione, anche quando parlava con qualcun altro. Da piccolo aveva visto dei punti multicolori che galleggiavano silenziosi. Non sembrano neppure muoversi, eppure lentamente avanzavano spinti dal calore del fuoco e dalla forza del vento.

Mongolfiere, gli aveva spiegato il padre.

Da allora Luc era diventato un cacciatore di mongolfiere. Ovunque fosse, in qualsiasi situazione si trovasse, sperava di intravvedere quei cesti sospesi nel vuoto, quegli impavidi giganti d’aria e calore che osavano sfidare il cielo e il vento.

Un giorno, pensava Luc, salirò sulle mongolfiere e vedrò il mondo intero piccolo come ossa di formica.

Le mongolfiere portavano i sogni di Luc in ogni angolo del mondo, e li sganciavano come fantasiose zavorre in terre lontane, che Luc poteva solo immaginare nelle sue avventure di bambino. L’uomo poteva volare, poteva starsene sospeso in alto e rimpiangere il suolo.

Intanto Luc non sa ancora se il suo desiderio verrà realizzato. Si limita a scrutare il cielo in cerca dei suoi sogni di ritorno da un’avventura esotica.

Cielo

Senti il vento che gorgheggia mentre trasporta le nuvole silenziose facendole correre per arrivare a una meta sconosciuta. Come passeggeri non desiderati gli uccelli si lasciano cullare dalla brezza, mentre l’aria cambia e il sole diventa di metallo per poi scomparire dietro qualche nube scura.

Senti, qualcosa sta per avvenire. Nulla di tragico o di irreparabile, forse qualche sbuffo di troppo o un sospiro del cielo. Anche il sole talvolta è stanco di risplendere violento. Nell’aria del cambiamento danzano fiocchi leggere e polvere impalpabile, disegnando arabeschi intangibili e inconsistenti, una sinfonia che nessuna riesce a captare.

Fuori tutto muta, anche solo per un attimo, per poi tornare alla normalità solita. Tutto viene sconvolto e sembra non essere in grado di tornare all’equilibrio primigenio, ma è solo una vaga sensazione, un’inquietudine destinata a svanire in una folata di vento estivo.

Giochi di ombre e luci

Il vento sta giocando tra le foglie, sibila e sussurra insinuandosi fra gli steli d’erba e il suolo umido d’inverno. Il vento danza e con lui la luce che si proietta sul muro, tra foto di altri tempi, sorrisi sfuocati e giovani che persi tra le pieghe del passato.

È tutto un gioco: la foglia che trema sul soffitto, il raggio che scivola tra i libri, come se ne volesse leggere distrattamente il dorso, l’insetto gigante, ma inconsistente, che per un attimo si affaccia alla finestra, per poi scomparire qualche metro oltre.

Il sole freddo e il vento umido si divertono a far nascere desideri di vita e di colori, a disegnare ombre e a muovere luci. Un bocciolo trema mentre timido attende la sua gloria.

Nell’atmosfera metallica, ombra e luce giocano a rincorrersi.

Nato storto

Se un albero nasce storto, è difficile da raddrizzare. Elias era nato storto, anche se non fisicamente, ma di carattere. E nella sua vita aveva tentato di tutto per crescere dritto e bello come gli altri, ma non era riuacito a ottenere molto. Aveva tentato di smussare angoli, puntellare, piallare, ma niente: l’unica cosa che aveva ottenuto era stata nascondersi.

Si nascondeva perché si sentiva in difetto, così storto come si trovava. Chi lo circondava era sicuro, sapeva dove voleva andare, aveva una buona parlantina e una casa in cui tornare. Elias non aveva casa, ma un rifugio che odiava, balbettava leggermente e non sapeva nemmeno come potersi definire. Non aveva una meta, in un mondo di poeti e scienziati, non aveva una qualità.

Una vita storta non è una vita facile. Si passa il tempo a cercare di nascondere questa particolarità, ma è solo tempo perso a lottare con il vuoto.

Solo in un posto Elias si trovava bene. Si trovava su un colle, poco lontano dal villaggio in cui abitava. Su un fianco cresceva una quercia bella come solo le nodose querce possono essere belle. Elias la guardava e ne ammirava l’angolazione. La natura non era stata clemente: aveva piegato i rami, ritorno il tronco, scavato la corteccia. Ma nonostante tutto, quella quercia storta era ancora lì, perfetta nella sua contorsione.

Ed Elias sperò di diventare quercia.

Affidalo al vento

George sperava che qualcosa cambiasse, che qualcosa gettasse un secchio di vernice colorata sul suo mondo. George voleva sporcarsi, voleva sentire il vento, sentirne la voce, senza aver paura del mondo e dei problemi, delle conseguenze e delle cause. George voleva respirare.

Chiuso nella sua stanza, nel suo regno di legno e vetro, George sognava. Sognava di costruire un aquilone di mille colori e di mille forme, che cambiasse a seconda della brezza, a seconda della sua mente. L’arcobaleno si sarebbe affacciato invidioso a vedere questa costruzione così varia, eppure così perfettamente imperfetta, e si sarebbe reso conto di quanto pallidi fossero i suoi colori.

Con gli occhi persi in un cielo plumbeo, George immaginava di legare stoffe colorate per costruire un acchiappasogni universale, che liberassi bambini e adulti da incubi e malvagità. E Morfeo in persona avrebbe trovato dimora in questa capanna svolazzante e avrebbe elargito un’effimera felicità a tutti i sognatori.

George sperava di tornare al passato, quando le sue gambe bambine non sentivano ostacoli, quando la pelle fanciulla sfidava il sole e la pioggia. Ma quel ragazzino non sarebbe più tornato a correre. George lo sapeva, ma il suo cuore continuava a creare bolle di sogni e di speranze.

Senti?

Non senti il vento?

Sta sussurrando e racconta di terre lontane, sconosciute. Di gente che parla lingue mai sentite. Di vaste distese sabbiose, brulle, aride, in cui l’acqua riemerge come un miraggio, uno zaffiro contornato fra smeraldi, in un mare di desolazione. Senti il calore insopportabile del sole che splende in un cerchio perfetto e impietoso, guarda quella carovana di uomini vestiti di blu. Quasi riesci a percepire la sabbia cedevole sotto i piedi.

A, volte, invece, avvolge il mondo con le dita gelate del nord. Il respiro si fa tagliente e sottile, suoni gutturali degli abitanti dei ghiacci ti fanno sognare i giochi di luce di un’aurora boreale. Vorresti scivolare su lastre umide che una volta erano mare.

Poi percepisci un sentore di sale, l’odore salmastro di un mare lontano. Frammenti di onde trasportate sulla tua pelle. Puoi quasi sentire il rumore di una vela tesa, lo scricchiolio delle gomene.

E il fruscio di un’immensa foresta ti avvolge con il suo mistero. Occhi invisibili ti osservano da lontano, silenziosi. I loro sguardi ti avvolgono, si imprimono sulla tua carne. E vorresti perderti in questo verde labirinto fatto di sussurri e radici, di nodosi arbusti e di rami flessibili.

Mondi nascosti, arcani.

Senti nascere il desiderio di andare, di inseguire quelle storie, di vedere a chi appartenga quella risata rubata da vento.

Senti? Il vento ha risvegliato la tua anima nomade.

Venti

Non cercate di imprigionarmi. Sono uno, ma sono molti. Vago per la terra, per il mare, batto le montagne. Posso essere l’innocua brezza che scompiglia i capelli ad una ragazza, o trasformarmi in una potenza capace di sradicare alberi e alzare case.

Innalzo il mare con onde capricciose, a poco a poco sgretolo le montagne. Faccio cantare le rocce ed ululo nella notte. Gioco fra le foglie facendole secche danzare, mi nascondo tra i rami degli alberi facendoli oscillare

Mi insinuo nei vostri cuori, facendovi sentire odori di posti lontani. A volte porto un briciolo di follia, altre una certa afasia. Raduno le pecorelle di un’immenso pascolo azzurro.

Hanno cercato di chiudermi in un vaso, ma inutilmente. Mi hanno sfruttato, schiavizzato. A volte, però, mi ribello,e strappo le vele, abbatto le eliche. Sono il re dell’aria, una volta tanto amato quanto temuto.