Giochi di ombre e luci

Il vento sta giocando tra le foglie, sibila e sussurra insinuandosi fra gli steli d’erba e il suolo umido d’inverno. Il vento danza e con lui la luce che si proietta sul muro, tra foto di altri tempi, sorrisi sfuocati e giovani che persi tra le pieghe del passato.

È tutto un gioco: la foglia che trema sul soffitto, il raggio che scivola tra i libri, come se ne volesse leggere distrattamente il dorso, l’insetto gigante, ma inconsistente, che per un attimo si affaccia alla finestra, per poi scomparire qualche metro oltre.

Il sole freddo e il vento umido si divertono a far nascere desideri di vita e di colori, a disegnare ombre e a muovere luci. Un bocciolo trema mentre timido attende la sua gloria.

Nell’atmosfera metallica, ombra e luce giocano a rincorrersi.

Pubblicità

Arriverà, arriverà, vedrai che arriverà

Photo by Brett Sayles on Pexels.com

Erano ormai giorni che il sole non faceva capolino dalla coltre scura di nubi. Erano passati così tanti giorni che ormai si stava parlando di settimane. I saggi, coloro che sapevano e che avevano imparato, tuonavano più alti dei borbottii celesti che riempivano l’aria: sostenevano che qualche divinità, o la forza della natura stessa, si stava rivoltando contro quella contrada a causa di un qualche misfatto, di un peccato terribile, che andava espiato il prima possibile. Quale fosse il peccato, però, rimaneva un mistero, come anche le modalità con le quali mondare questa così turpe macchia.

“Tornerà, tornerà, vedrete che tornerà”.

A gracchiare non era stato il solito esperto che sentiva l’impellente necessità di proporre la propria versione dello strano fenomeno di precipitazione. Era un vecchio, piegato su una sedia, che passava la maggior parte del suo tempo a sorridere con aria dolcemente assente mentre guardava di sottecchi l’orizzonte che si affacciava alla sua finestra. Era conosciuto semplicemente come il Vecchio, poiché ormai nessuno si ricordava più quale fosse il suo nome. Nemmeno il Vecchio stesso sarebbe stato in grado di indicare quale fosse stato il suo nome perché erano anni che viveva sospeso tra il mondo dei vivi e quello dei morti senza decidersi di fare il passo risolutivo: la sua mente ricordava tempi remoti e nomi divenuti polvere, il presente non trovava più spazio in quella coscienza, ma il suo corpo sembrava essere saldamente ancorato al mondo terreno.

“Chi tornerà?”

La cura del Vecchio era affidata a un ragazzino di una povera famiglia. Non doveva fare molto: solo assicurarsi che mangiasse qualcosa e che la casupola rimanesse in ordine. Inoltre lo accompagnava a dormire ogni sera e lo aiutava a raggiungere la sua sedia ogni mattina. Spesso sentiva borbottare il Vecchio: per il giovane erano parole senza senso anche quando un senso, in realtà, c’era. Raccontava di storie lontane, di persone che il giovane non conosceva, di battaglie e di sconfitte.

“Eh, eh, chi vuoi che torni dopo la pioggia?”

Il giovane non diede tropo ascolto a quelle parole. Magari nella gioventù del vecchio dopo la pioggia si affacciava alla porta l’amata o qualche amico. Per il giovane quella pioggia era maledetta, nulla su cui ridere come faceva il Vecchio. Il terreno si era rammollito troppo, impossibile lavorare i campi. Sarebbe stato un altro anno di magra per la sua famiglia. Un altro anno di fame.

“Chi vuoi che arrivi dopo la pioggia? Al massimo la fame! Ora devo andare. A stasera”.

“Arriverà, arriverà, vedrai che arriverà”.

Aiutare il Vecchio non dispiaceva al ragazzo, forse perché gli permetteva di allontanarsi dalla sua famiglia per un po’, allontanarsi da quelle facce stanche e deluse, invecchiate prima del tempo. Anche al giovane sarebbe toccato un destino simile, lo sapeva bene. Avrebbe dovuto piegare la schiena, esporla al sole e lavorare sodo per rimanere comunque in uno stato di povertà. O almeno quello era il suo destino primo che le piogge incessanti avessero trasformato il suo mondo in melma. Almeno il Vecchio con le sue farneticazioni riusciva a trasportarlo in un mondo in cui il sole ancora splendeva e illuminava strani personaggi che sembravano sapere esattamente cosa fare per ottenere un riscatto.

E chi mai sarebbe dovuto tornare dopo la pioggia? Forse anche il Vecchio voleva rivedere il sole: sarebbe stato ben triste spegnersi senza aver rivisto l’oro impalpabile del cielo.

Poi un giorno smise di piovere. Senza necessità di espiare nessuna colpa. Senza compiere sacrifici o sacrificare un colpevole. E arrivò. Esattamente come aveva predetto il vecchio arrivò. L’arcobaleno.

“Hai visto? È arrivato, vero?”

“Sì, Vecchio è arrivato”.

“Allora è tempo che io vada”.

A cavalcioni sulla luna

A cavalcioni sulla luna due piccoli individui osservavano curiosi quel minuscolo frammento di universo in cui batteva un debole cuore.

Al centro una massa di fuoco imprimeva a ciò che le stava attorno un moto rotatorio. Tutto era in equilibrio perfetto affinché nessun pianeta collassasse sull’altro o venisse ingoiato da fulcro o scappasse alla ricerca di un’altra stella. Certo, in passato questo equilibrio non esisteva e c’erano stati eventi catastrofici. Le cicatrice del piccolo sasso su cui si trovavano ne erano la prova. Era un equilibrio temporaneo e fragile. E per questo così affascinante.

Uno dei cavalieri lunari indicò il pianeta più vicino, attorno al quale stavano girando loro stessi. Un globo azzurro, con vaste aree colorate di verde o ocra, striato da nubi bianche che creavano dei complessi disegni.

“Guarda” disse al compagno additando alcuni singolari agglomerati di luci che trapuntavano quelle terre. Da lassù sarebbe stato possibile disegnare una mappa di costellazioni terrestri, di nebulose artificiali. Ma tutto mutava troppo velocemente perché potesse essere fissato su una qualche superficie.

Era proprio là che pulsava il piccolo cuore pieno di vita.

“Immagina”, continuò “laggiù si muovono migliaia bipedi. Da qui non sono neppure visibili, ma la loro impronta è evidente. Sono capaci do grandi azioni, nel bene e nel male. Sono curiosi, ingegnosi. Tuttavia il loro egoismo li spinge spesso a lottare fra loro, a infliggere danni alla loro stessa terra, a sterminare le altre creature. Alla saggezza, al rispetto e alla pietà a volte preferiscono l’odio e la rabbia. Alla fin fine quel posto non è tanto diverso da questo satellite su cui siamo seduti: un lato è caldo, rassicurante, luminoso, l’altro è oscuro, ostile, freddo. Se questa natura prende il sopravvento allora quegli esseri diventano mostri.”

Il cavaliere che sembrava più giovane si girò e indicò un pianeta rosso, splendente, certo, ma desolato. “Dicono che sia il passato, che una volta anche su questo ci fosse dell’acqua. Forse sarà anche il loro futuro. Da quest’altro pianeta, invece, si alzano vapori venefici. Forse sarà questa la loro speranza”.

Continuano a guardarsi attorno: globi colorati, uno anche dotato di detriti che sembravano rincorrersi in una fuga senza fine, sfere gassose, piccole, grandi, liquide.

Il giovane tornò a guardare la terra “Usciranno mai da questi loro confini?” “Magari, un giorno. Ora, però, è tempo di andare. A vedere questo piccolo pianeta mi è nata una nostalgia di casa”.

Si alzarono e scomparvero nel nulla.