Il fabbricante di bambole – Pt. 3

La perdita di Eleonor sembrò condurre al baratro della follia Faber, che si salvò solo grazie alla bambola con cui la sorella era solita giocare. Era un semplice giocattolo di pezza, con due occhi azzurri che guardavano fissi nel vuoto e lunghi capelli castani che Eleonor aveva raccolto in una treccia.

La bambola se ne stava appollaiata su una mensola tutta sua, nella stanza sul retro della bottega di Faber. Nessuna la poteva vedere, era il portafortuna segreto dell’artigiano. Neppure la madre ormai anziana sapeva che una traccia dell’adorata figlia era sopravvissuta alla sua furia distruttrice con cui aveva cercato di cancellare la presenza della fanciulla, nel tentativo di eliminare il dolore per la perdita. Ma qualcosa doveva aver intuito, perché non si era mai avventurata a visitare la bottega del figlio e trovava il suo lavoro inquietante.

Faber stava lavorando a una bambola dalla pelle d’ebano e dagli occhi grandi di cerbiatto, quando entrò nel negozio un individuo alto, riccamente vestito. Faber non diede segno di stupore: era abituato ai ricchi signori, alle stravaganti richieste e al loro eloquio altisonante. Lo straniero non accennava a voler parlare, mentre fuori un manipolo di mocciosi stava cercando di rubare un frammento di una ricchezza solo sognata.

“Posso aiutarla?” borbottò Faber.

“Certo, o non avrei varcato questa soglia” osservò lo straniero, dall’accento un uomo del nord. “Mia figlia ha sognato una fata e ne vorrebbe la riproduzione. Ecco il disegno”. E gli allungò il foglio con la riproduzione infantile di un folletto biondo.

“Non brilla di fantasia sua figlia. Torni tra un due settimane, e avrà la sua bambola”.

“Sulla fantasia di mia figlia non discuto. Discuto sul tornare. Io non tornerò, sarà lei a venire nel mio regno. Voglio che realizzi altre bambole, non solo quella della fata”.

Faber lo guardò con un mezzo sorriso “Io non mi muovo da qui. Mandi un messo, di solito fanno così gli altri clienti”.

“Niente messo. Lei viene con me”.

L’ultima cosa che Faber vide fu il sorriso dello straniero e gli occhi azzurri di Eleonor.

Condominio n. 132 – Pt. 6

Nox abbaiava tutto curioso di sapere chi si nascondesse dietro la porta. Calzoncini sbuffava del tutto consapevole che qualcosa stava per succedere. Richiamò il cane, guardò dallo spioncino e il suo dubbio venne confermato: il signor Sotutto era sempre latore di sventura.

“Buonasera” salutò Calzoncini.

“Buonasera. Se non le dispiace, le faccio compagnia per una mezz’oretta” e Sotutto si invitò all’interno dell’appartamento.

“Conoscevo bene questo appartamento, quando ci viveva la signora Nonna, almeno. Vedo che hai cambiato tutto. O almeno hai svuotato tutto”. Sotutto aveva deciso che data l’età del ragazzo e data la presenza di Nox che lo guardava curioso, passare al tu non avrebbe offeso né padrone né cane.

“Lo sai che quando vai via il cane fa il diavolo a quattro? Abbaia tutto il giorno” esordì Sotutto.

“Per fortuna non miagola” commentò Calzoncini facendo accomodare il non molto gradito ospite sul divano, davanti a un bel quadro moderno.

“Ai miei tempi i quadri avevano un senso. Non come queste quattro spennellate. Sarei capace di dipingerlo io stesso”.

Calzoncini fece finta di non sentire. “Vuole del tè?”

“Oh no, andrebbe in conflitto con le medicine per dormire. Quello che voglio è ben altro”.

Calzoncini e Nox iniziarono a sudare freddo.