Dafne è diventata un albero, senza emettere un suono, senza nemmeno accorgersi. Le sue gambe che stavano fuggendo da Apollo si sono ancorate alla terra, il suo corpo flessibile è mutato in corteccia ruvida e le dita affusolate si sono allungate in rame. Dafne non esiste più, la sua anima ora scorre come linfa nel tronco in un lauro silente. E ad Apollo non resta che il ricordo di una ninfa disinteressata e di una caccia senza onore.
Gli animi cambiano, c’è chi diventa albero, chi pianta, chi invece roccia o animale. Per lo più non sono cambiamenti momentanei, ma permangono nell’eternità. Una fonte è una madre privata dei suoi figli, un fiore zampilla dal sangue di un giovane ucciso dall’invidia, la voce dei monti non è che un’innamorata che non trova requie.
Per quanto irreversibili, talvolta le metamorfosi avvengono a gradi, compiono piccoli passi verso la stabilità. È come se la forma di partenza versasse in uno stato di irrequieta instabilità e cercasse, mutando, di ritrovare un equilibrio in cui passare il resto della propria esistenza. Piccole mutazioni che portano quella signora a disinteressarsi al mondo di fuori, a rinunciare alla curiosità, per poi trasformarsi in sasso. Mentre quell’altro uomo continua a emettere un suono senza senso, ma insistente e petulante. Ronza, ronza e si muove in traiettorie concentriche, senza mai allontanarsi troppo dal destinatario delle sue attenzione. Ecco che quest’uomo diventa mosca. D’altro canto, non tutti i bruchi riescono a diventare farfalle.
Le metamorfosi delle fiabe sono palesi, urlano a divinità e mortali che nel cambiamento la loro natura è stata preservata, nel mondo reale, le metamorfosi si riducano a piccole gocce, che con costanza riescono a creare un solco anche nelle rocce più resistenti.