Paura di faticare

Ho sempre avuto un concetto un po’ vecchio stile secondo cui, se si vuole ottenere qualcosa, bisogna faticare. Sono stata cresciuta con questo principio, e mi ha guidata in molte delle mie scelte. Se voglio raggiungere un obiettivo, sono capace di mettere in campo ogni briciola di determinazione e di forza.

Ho incontrato molti che condividevano questa mia visione forse un po’ masochistica della vita: niente viene regalato, tutto dipende dalle proprie capacità. Eppure in questo strano e affascinante viaggio che ho intrapreso, mi sono ritrovata con dei compagni che sembrano appartenere a un’altra dimensione. La fatica deve essere evitata a qualsiasi costo, non è ammissibile che qualcosa possa essere ottunuto con sudore.

La vita non è, però, un parco giochi, e le persone che ne solcano le acque possono voler causare delle onde inaspettate. E allora che cosa si fa di fronte a questi impervisti? La mia risposta si trova nel lavoro, in una bella remata forte che potrebbe portarmi dritta dritta negli abissi, senza che nessuno si degni di lanciare un salvagente. E poi c’è chi se ne sta ben lontano dal pericolo, ma anche dalla meta, e tenta di trovare qualche scorciatoia, qualche modo per aggirare l’ostacolo.

Quale delle due strade sia più efficiente, però, non mi è ancora ben chiaro.

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Tanta fatica per nulla

Il tempo mostra le crepe del muro. Si deposita su queste fenditure come polvere d’oro rendendole evidenti a qualsiasi passante. Il tempo mostra le debolezze, vi si incunea dentro, per poi staccare la superficie.

Poco importa quanta fatica sia stata richiesta per realizzare la parete. Poco importa se sia parte di un magnifico castello o di un’umile dimora. Alla fine crollerà. E se ciò non dovesse accadere, se il muro dovesse rimanere eretto, questo avverrà solo grazie alle erbe selvatiche, alle radici ribelli, sottili, ma forti come calce. La vita rende vivo tutto ciò che sfiora. Le crepe d’oro diventano suture rigogliose.

Dopo anni di stenti e di impegno per creare una meraviglia, non rimane che un rudere selvatico mangiato dal bosco. Tanta fatica per costruire mondi e opportunità sfumate nel ventre primitivo.

Lo sforzo

L’impegno è immenso, le vene del collo si gonfiano e affiorano, il sangue cerca di sfondare le pareti e la pelle sembra strapparsi e avvampare. La fatica è enorme. Per fortuna che il corpo esterno non mostra tutti questi sintomi, ma solo una certa stanchezza.

A sbuffo segue lamento, a lamento sbuffo. Una locomotiva di fine diciannovesimo secolo sarebbe meno rumorosa. E ancora sbuffo e lamento, e poi due sbuffi e quattro lamenti. Ercole con le sue fatica non si è mai sforzato così tanto, è certo.

Dopo tutto questo rumore, il risultato è ben misero. Nulla, insomma. Ideare un finale positivo proprio non ci riesco. E nemmeno a installare un pensiero fermamente positivo. Tanta fatica per nulla.

O forse una caparbietà mentale che è più incallita di quanto pensassi.

Tentavi di volo

Hai voluto spiccare il volo, cercare di allontanarti da questa monotona terra.

Hai tentato di avere di più, di migliorare ogni giorno, di essere la pecora nera in un candido gregge.

Hai continuato a lottare finché le armi non si sono smussate.

Hai scalato le montagne, facendoti sanguinare le mani.

Sei salito su scale impervie, di corsa, tutte d’un fiato, con forza e tenacia.

Non hai cercato scorciatoie, non hai appeso zavorre a chi ti stava davanti.

Hai provato a volare, ma ti ritrovo ancora qui, mentre zampetti su queste rocce.

Hai il triste aspetto di un angelo con le ali spezzate.