Cascate

Al limite estremo della terra si apriva una voragine enorme, una cascata di immense dimensioni che precipitava nell’abisso dell’ignoto, in una bocca nera in cui si perdeva persino il suono dell’acqua. Era rappresentata così la fine del mondo nel libro che il ragazzo teneva in mani e dalle parole del suo maestro, che cercava di educare quelle giovani menti insegnando loro almeno i rudimenti della geografia.

Né il giovane né l’insegnate erano del tutto convinti di quella teoria, di quell’immensa massa di acqua che si perdeva nel nulla. C’era qualcosa che scivolava nella magia, e, si sa, magia e geografia non hanno molte cose in comune. Per ora, però, nessuno aveva fornito una lettura diversa, almeno per quanto ne sapeva un ragazzino figlio di mercanti e un maestro di campagna.

Spesso i due si immaginavano lì, in bilico tra il mondo conosciuto e quello ignoto, tra la vita certa e l’oscurità che difficilmente avrebbe lasciato integri i loro corpi. Il maestro sognava di gettarsi, per vedere quell’immensa distesa che doveva accogliere le acque della terra sconosciuta, e magari approdare in isole che non conoscevano ancora il piede degli uomini. Il ragazzo, invece, era incerto se fare un salto da cui non si sarebbe salvato o sporgersi sul bordo per captare più misteri possibili, per poi tornare alla vita conosciuta.

Un giorno il maestro scomparve. Voleva vedere le cascate della fine del mondo. Il ragazzo divenne un mercante, come il padre, ma nei suoi viaggi non vide mai né le cascate né il suo maestro. Entrambi sembravano essere stati ingurgitati dai gorghi della realtà.

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