“Avanti, vieni. Ridi, balla, salta, seguimi, cerca di afferrare la mia ombra cangiante. Non ti aspetto, ben lo sai, perché sarai tu a cercare di raggiungermi, con il respiro rotto e affannoso.
E allora vieni, affrettati per poter far parte anche tu di questo momento di sfrenatezza. È giunta l’ora che ti liberi dalla catene della razionalità, recidi quei legami e vieni da me, muovendoti a ritmo della mia risata irrefrenabile.
Osserva bene, ammira la mia pelle di porcellana, i miei occhi infuocati che sprofondano in due fessure, gli arabeschi dorati incorniciano il mio volto.
Non pensare, non ricordare, non soffrire. In questo ballo la dimenticanza ti farà ridere, ti farà smarrire nelle dolci tenebre dell’ebrezza”.
La maschera cade, i colori si affievolirono, della risata rimase solo un’eco lontana, un ghigno pauroso. Si ritrovò a stringere una mano fredda, tremante.
“È forse già finita la danza a cui mi hai invitata? Perché ora taci?”
La maschera si girò, con uno strano sorriso: “Illusa, questa è una danza che deve ancora cominciare”.