Stileia

Strano era lo spettacolo che un immaginario viaggiatore avrebbe potuto vedere a Stileia. Questo avventuriero avrebbe dovuto percorrere tutto l’entroterra del regno, passare per il deserto infuocato e per le zone d’ombra, per poi affrettarsi in vaste praterie disabitate che l’Ordine non aveva ancora adibito a una funzione. Meglio non soffermarsi in questi territori, poiché erano diventati la dimora di animali selvatici e di uomini inselvatichiti dalla paura e dalla solitudine. L’ultimo ostacolo era un vasto fiume che lambiva il confine invalicabile, in mezzo al quale si trovava un’isola. E quest’isola si chiamava Stileia.

A vederla da lontano sembrava coperta da un fitto bosco di alberi senza rami e senza foglie, ritti e distanziati con geometrica cura. Non era un prodotto del caso quello, ma di una mano e di una mente. Stileia era, infatti, l’isola delle mille colonne. Si diceva che la prima colonna fosse stata eretta da un saggio eremita, stanco di viaggiare per un mondo in continua mutazione sempre più sordo alle sue parole. Il vecchio si era quindi isolato fisicamente dalla terra e si era inerpicato sulla sua solitaria colonna, nutrito dalla carità dei vicini popoli. Ma era una leggenda di un tempo lontano, quando ancora le praterie erano costellate da villaggi, quando un uomo era libero di spostarsi e di decidere di trascorrere il resto della sua vita su una colonna.

Nessuno sapeva se fosse vera quella storia. Di certo, tra le mappe volute dall’ordine quell’isola aveva un nome e pure degli abitanti. Alla colonna iniziale, infatti, se ne aggiunsero altre. Al primo saggio, ne seguitavano nuovi. Se il precursore era un volontario, lo stesso, però, non si poteva dire dei suoi successori. I saggi arrivavano su mezzi dell’Ordine, scortati da una guardia che portava il volto nascosto da un passamontagna. I prescelti venivano poi assisi su una delle colonne che si erano liberate, o su una colonna nuova realizzata per l’occasione. Nella stessa occasione venivano portati i pochi viveri che quei vecchi richiedevano.

Il via vai di macchine era molto più sostenuto di quanto si penserebbe. A quanto pareva vivere a Stileia non era garanzia di una lunga vita. E a guardare gli anziani abitanti che se ne stavano seduti al posto dei capitelli se ne capiva il motivo: erano pallidi, sottili, come se venissero consumati da un qualche immane sforzo. Con gli occhi chiusi corrugavano la fronte, mentre gli angoli della bocca si piegavano tremando. Alla fine, uno a uno, come frutti troppo maturi crollavano a terra.

Erano i saggi pensatori, scelti tra tutti gli anziani per la loro innata forza psichica. Là, sulle colonne, convogliavano il loro sforzo per fini che solo l’Ordine conosceva. E forse neppure l’Ordine stesso era completamente cosciente di ciò che stava facendo. Sfruttando l’energia di quegli uomini, prosciugandoli dalla loro forza vitale, l’Ordine tentava di creare una protezione per il proprio regno che mai era stata realizzata. L’impossibile stava diventando possibile con quell’esperimento e con il sacrificio di vittime senza nome.

Stileia era un’arma in potenza. Una terribile arma che avrebbe annientato qualsiasi ribellione.