Gusci

Ho scavato in questa roccia per anni, l’ho lavorata e levigata. È stata una fatica, ma alla fine sono riuscito a creare un involucro perfetto, una dimora che mi proteggesse da giganti distruttori e nani disturbatori.

Ho creato un guscio. A vederlo da fuori sembra una fredda roccia, arida e sterile, ma è solo una facciata. Non sono un parassita, sono un essere senza artigli e senza veleno che deve costruirsi la propria fortuna. E la fortuna passa per questo involucro.

Non fermatevi alle apparenze, sarebbe da stolti, perché basta andare in po’ oltre la superficie per accorgevi che c’è il calore della vita qui dentro, pensieri fragili come cristalli, e parole alate pronte a spiccare il volo.

Basta fare un po’ di attenzione.

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Stille Wasser sind tief

Le acque calme sono profonde. Così almeno dicono in Germania.

Eppure sono proprio le acque calme a non essere prese in considerazione.

Tutti sembrano essere attratti dalle frizzanti onde, dai movimenti sensuali delle rive. Si tengono lontani da quello specchio immobile, che destabilizza con la sua calma e sparge intorno a sé un senso di irrequieta attesa.

Sotto quell’apparente vita non trovi altro se non un fondo stanco, eroso, privo di vita. E quando la marea si ritira lascia intravedere sterili scogli.

Nelle tranquille profondità si di apre, invece, un abisso di stupefacente vita. Prima con enormi creature simili a isole viaggianti, che danzano tra i flutti guidando i loro piccoli. E poi i temibili e affamati predatori, pronti a mordere gli incauti che sottovalutano quelle acque. Ovunque pesci argentei che si muovono insieme come un sol corpo, polipi sinuosi che disegnano nell’acqua i loro arabeschi, meduse luminescenti. Sotto il velo immobile si nasconde un cosmo in continuo movimento.

Non solo. In quelle immensità si celano mostri, scheletri di navi e di uomini. Perché anche la calma inganna, ferisce, si vendica.

Quindi state attenti. Non sono da sottovalutare le acque tranquille. Non sapete mai che cosa si può trovare sotto.

Apparenze

Mi avete lasciato mentre nuotavo tranquillo in questo strano lago artificiale, dalle pareti trasparenti, con dei coinquilini tanto vistosi quanto ingombranti.

Forse non vi ricordate di me, sono il pesce rosse finito per gioco del destino in un acquario di pesci tropicali.

È da un po’ che non faccio sentire la mia voce, ma ho avuto anch’io il mio bel da farsi per sopravvivere in questo mondo.

Facile, direte voi, sopravvivere in un acquario!

Ebbene, sono pronto a smentirvi. Voi avete sempre la possibilità di fuggire, abbandonare i luoghi che vi opprimono. Io, invece, non posso muovermi. Sono bloccato qui, senza via di fuga. Pinna a pinna con queste stupende, luminose creature.

E poi, se non erro, anche voi avete il vostro acquario. Magari non fisico. Però ammettetelo, pure voi sguazzate in un angolo limitato del mondo, sicuro ma angusto.

Ma torniamo a me. Ammetto di aver tentato di adeguarmi a loro, a quegli stupendi esseri che condividono con me queste acque.

Ho scoperto che anche queste creature così eteree perdono talvolta le loro squame. Io le ho raccolte tutte, e mi sono confezionato la mia bella veste lucente. Un’armatura eroica. Una corazza di gemme.

Purtroppo, com’è risaputo, noi pesci difettiamo di memoria. Così ben presto mi dimenticai che quella che avevo addosso era solo un’apparenza di gloria, un inganno, anche piuttosto goffo. Mi chiesi perché le mie squame diventassero opache, grigie, più banali del mio già banale colorito. Non riuscivo a spiegarmi neppure le risate dei miei compagni né il motivo per cui fuggivano da me.

Che mi fossi malato?

Un giorno la mia veste rimase impigliata in un corallo e si strappò. Mi sentì subito più leggero, agile. Mi sentì rinato. Mi ero liberato da quella pelle morta, che non mi apparteneva.

Ero di nuovo io. Carassius Auratus. Alla faccia di quei vanagloriosi.