Metà

A prima vista sembrava un uomo come tanti. Un signore distinto, elegante e gentile. In realtà, pochi potevano affermare di conoscerlo o semplicemente di avergli parlato.

Viveva isolato nella sua casupola. Lo si poteva vedere mentre curava il giardino e il magnifico roseto che era stato tanto desiderato da sua moglie. A maggio quello scheletro di rovi che in inverno esprimeva con i suoi steli il freddo del clima, si scaldava con i colori del sole, del fuoco,divampava creando una macchia felice e scomposta in quel giardino così ordinato e monocromo.

Spesso, però, rimaneva in casa. A volte quando usciva indossava un cappello che gli nascondeva gli occhi. Era, in effetti, l’unica particolarità che lasciava i suoi vicini un po’ perplessi.

Aveva cominciato a isolarsi in seguito alla perdita di sua moglie. Al funerale era rimasto impassibile, non un muscolo si era mosso. Non aveva parlato, aveva solo stretto le mani di chi gli si avvicinava. Alcuni avrebbero giurato, però, che l’occhio sinistro fosse umido, arrossato e gonfio. Anche l’angolo della bocca ora sembrava piegarsi in una smorfia di dolore, ora tremava leggermente.

Ma poteva darsi che fosse solo un’impressione.

Seduto sulla poltrona, chiuse tutte le imposte, il signore sospirò e scrutò il suo volto allo specchio. Non era più tornati normale. L’occhio destro era limpido, terso come il cielo liberato da un venti di primavera. L’altro era opaco, offuscato da una nuvola di dolore, sempre pronta a lasciarsi andare a una pioggia di calde lacrime.

Anche la bocca era rimasta deformata. Una metà appariva distesa, l’altra perennemente triste, serrata, sottile.

Solo quando si affacciava a vedere le rose fiorite gli sembrava di sentire la voce della sua amata che lo chiamava ad ammirare quello splendore spinoso.

E allora le labbra si stiravano in un pallido sorriso, e l’occhio ferito tornava a vedere la luce.