Campi Elisi – Pt. 10

“La mano del padre è la mano dell’assassino. La vedo, la vedo bene. Le mie vesti nuziali sono perfette anche per un sacrificio. Questi uomini lo chiamo re, io lo chiamavo padre, ora lo choamo assassino”.

“No, Ifigenia, non è vero. Un cerbiatto ho sacrificato, così mi hanno detto gli dei. O non saremmo potuti partire”.

“Figlia, ti ho portato in queste terre sconosciute per darti alla vita, ma mi accorgo che solo la morte ti attende. La mano del padre è la mano dell’assassino. La mano del mio sposo calerà armata sul collo di mia figlia. Questo torto non passerà impunito, Agamennone. Te lo giuro, il tuo ritorno sarà tinto di rosso”.

“Clitemnestra, non angustiarti. È stata compiuta la volontà degli dei. Questo mi è stato richiesto, e questo è stato compiuto”.

“Per un refolo di vento, mi si richiede il mio respiro. Come può un’impresa essere propizia se comincia con la morte di un innocente. Non è per colpa mia che questi giovani devono salpare per morire sulla sabbia di una città che nemmeno conoscono, per un re che non è il loro, per una donna che ha fatto una scelta, per un gioco, una scommessa divina. L’invidia degli dei causa grandi dolori”.

Gli dei invidiano la mortalità, i mortali vogliono l’immortalità, e poi ne rimangono prigionieri. Ifigenia sogna di diventare vecchia, magari vicino a un semidio famoso per il suo valore, il semidio sogno la gloria, anche se questa lo priverà della vita, il re sogna la gloria di un campo di battaglia in cui no sarà protagonista, la regina brama vendetta contro chi l’ha privata di ogni felicità.

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Clitemnestra

Ho visto la morte, ho dato la morte. Questa casa è stata testimone di nefandezza che le parole stentano a descrivere. Io, figlia mortale di una madre che generò divinità, ho avuto un destino di morte.

Quando chiudo gli occhi vedo sangue.

Il sangue di mia figlia che venne sacrificata in nome di una guerra non nostra. L’altare bianco, lo sposo assente, il pugnale in mano al padre. L’orrore. Dicono che un dio l’abbia risparmiata. Ma io ho visto. Ho sentito il gemito. Ho percepito il respiro interrotto. Me l’ha rubata, me l’ha uccisa. Ha imbrattato il candido altare.

Vedo il sangue del mio antico marito, ucciso da questa belva. La guerra mi ha rincorso, anche se ho accettato il matrimonio con il vincitore.

E infine il suo sangue. Il guerriero sopravvissuto a dieci anni di assedio si è prostrato ai miei piedi. Sento il calore umido sulle mie mani. Vedo i suoi occhi increduli. Li vedo anche quando dormo, li sogno, mi perseguitano. La mia vendetta è stata soddisfatta, come lui ha sacrificato mia figlia io l’ho abbattuto come un toro all’altare.

E ora ancora sangue. Quello di Egisto, il mio amante. E il mio. Figlio, perché commetti nostri stessi errori? Fuggi, mio dolce assassino, salvati, almeno tu.

È ora che l’oblio metta fine a questo mio dolore.