“La mano del padre è la mano dell’assassino. La vedo, la vedo bene. Le mie vesti nuziali sono perfette anche per un sacrificio. Questi uomini lo chiamo re, io lo chiamavo padre, ora lo choamo assassino”.
“No, Ifigenia, non è vero. Un cerbiatto ho sacrificato, così mi hanno detto gli dei. O non saremmo potuti partire”.
“Figlia, ti ho portato in queste terre sconosciute per darti alla vita, ma mi accorgo che solo la morte ti attende. La mano del padre è la mano dell’assassino. La mano del mio sposo calerà armata sul collo di mia figlia. Questo torto non passerà impunito, Agamennone. Te lo giuro, il tuo ritorno sarà tinto di rosso”.
“Clitemnestra, non angustiarti. È stata compiuta la volontà degli dei. Questo mi è stato richiesto, e questo è stato compiuto”.
“Per un refolo di vento, mi si richiede il mio respiro. Come può un’impresa essere propizia se comincia con la morte di un innocente. Non è per colpa mia che questi giovani devono salpare per morire sulla sabbia di una città che nemmeno conoscono, per un re che non è il loro, per una donna che ha fatto una scelta, per un gioco, una scommessa divina. L’invidia degli dei causa grandi dolori”.
Gli dei invidiano la mortalità, i mortali vogliono l’immortalità, e poi ne rimangono prigionieri. Ifigenia sogna di diventare vecchia, magari vicino a un semidio famoso per il suo valore, il semidio sogno la gloria, anche se questa lo priverà della vita, il re sogna la gloria di un campo di battaglia in cui no sarà protagonista, la regina brama vendetta contro chi l’ha privata di ogni felicità.