Troppo spesso puntiamo il cannocchiale dentro di noi. Ci crogioliamo nei nostri difetti, ci lamentiamo di come siamo e di cosa facciamo. Elogiamo le nostre capacità e parliamo costantemente in prima persona singolare: io, io, io.
E se per una volta puntassimo il canocchiale lontano da noi? Se guardassimo il mondo esterno senza riportarlo al nostro io?
Il cielo si aprirebbe nella sua immensità. Gli occhi si incanterebbero a vedere i lumi della notte che risplendono timidi mentre la luna sorride storta alla terra. Non miti di uomini tracotanti, non storie di ninfe fuggitive, ma semplici astri, misteriosi, lontani, irraggiungibili.
Le acqua profonde svelerebbero i loro segreti, creature tasparenti che nuotano silenziose in un’oscurità liquida. Mostri ingannatori che addescano creature desiderose di luce. Pesci, coralli, anemoni, serpenti. Un mondo silenzioso su cui ci limitiamo a galleggiare.
E la terra, la nostra solida terra, ci mostrerebbe la nostra insignificanza. Sotto di noi un mondo di caverne, cunicoli, maestosi edifici creatisi nei secoli o scavati dalla pazienza di minuscole creature. In superficie migliaia di atri animali che zampettano, corrono, galoppano, in praterie, nei boschi o tra i ghiacci. Creature che ci rifuggono o che ci accompagnano.
L’aria si riempirebbe dei mille colori dei suoi abitanti che la attraversano liberi, senza peso, richiamando allegri i loro simili.
E poi potremmo diventate il fiume quieto che ritrova la forza nelle cascate, l’albero che paziente si china alla volontà delle stagioni o l’onda che si disintegra sulla spiaggia.
E vedremmo finalmente gli uomini. Quella umanità con cui combattiamo e conviviamo ogni giorno. Uomini che tendono la mano, uomini che la nascondono, uomini all’apice del successo e uomini sconfitti. Ne setiremmo le grida, i lamenti le risate, le preghiere.
E davanti a questa magnificenza il nostro io trova la pace,