
L’arrivo di Pietro non venne accolto calorosamente dall’altra metà della squadra. La faccia contrariata di Silvano la diceva lunga su quanto poco gli stesse simpatico Pietro. Innanzitutto, gli sembrava un oltraggio a Luigino trovare già un sostituto: era stato amico del compianto, suo compare fin dall’infanzia, e aveva condiviso con lui numerose passioni. In secondo luogo, era stanco della fissazione per i numeri di Luca. Una squadra di bocce a tre era del tutto onorevole, e un quarto giocatore poteva essere considerato superfluo. Quando venne a sapere che Pietro non aveva la minima idea delle regole delle bocce, la sua perplessità si trasformò in rabbia. E non vi dico cosa successe quando Luca gli annunciò che sarebbe stato lui, Silvano, a spiegare al nuovo arrivato le basi del gioco. Luca doveva portare la moglie Anna dallo psicoanalista poiché sembrava essere caduta in uno stato di depressione catatonico. I nervi, spiegava Luca. Luigino, pensava Silvano. Ed era sicuro che neppure Luca credeva alla storia dei nervi. Silvano aveva la soluzione, ma ancora una volta temeva che la morte dell’amico fosse troppo recente. Magari in qualche mese avrebbe risolto il problema di Anna, e pure il suo, visto l’atteggiamento di ostilità della sua adorata consorte Rachele, dolce come un’arpia e silenziosa come una bertuccia.
“La palla più piccola si chiama pallino. Noi dobbiamo far avvicinare le nostre bocce al pallino o allontanare le bocce degli avversari dallo stesso. Chi va più vicino vince un punto. Se anche la seconda boccia più vicina al pallino è della stessa squadra, viene assegnato un altro punto. Vince chi arriva prima a 12. Chiaro? Ora proviamo”
Ovviamente Silvano immaginava già il fallimento di Pietro. Ci vuole tecnica, non è solo un semplice lancio di una pallina. Richiede concentrazione, coordinazione, molleggiamento di gambe e una forza ben calibrata. Silvano era il più bravo, non c’era storia. I suoi tiri erano impeccabili, riusciva a scalzare le bocce avversarie e contemporaneamente avvicinarsi all’agognata meta. Era un talento, la sua mira era così infallibile da essere diventata una leggenda al Bocciodromo del Paese. E con Luigino era la coppia perfetta.
In realtà Silvano era conosciuto più che per la sua mira, per la sua passione: il collezionismo. Da amante del mondo antico, che cosa poteva mai collezionare? Forse libri antichi, qualche cinquecentina, delle aldine magari, certamente non papiri, troppo rari. E invece, nulla di tutto questo. Silvano collezionava reliquie, pezzi di venerabili appartenuti a santi corpi. Macabro, pensava Luca. Curioso, sostenne Pietro facendo un passo indietro. Folle, vociferavano gli avversari. Di certo, però, questa collezione ben si addiceva al fervente spirito religioso della moglie Rachele, che poteva vantare, con le sue compagne di bancone in Chiesa, di potersi appellare alle più preziose reliquie dei più santi fra i santi direttamente a casa. Una possibilità che era molto invidiata dalle altre comari.
Ma torniamo allo spiazzo dietro il bar dove Silvano sta cercando di ammaestrare il nuovo arrivato Pietro. Quest’ultimo aveva più di sessant’anni e non aveva mai toccato una boccia. Eppure non era così male. Anche Silvano dovette ammetterlo. La vista era ottima, al contrario dell’udito, ma quello non era fondamentale ai fini del gioco.
“Cerca di sbalzare il mio, Pietro. Non solo devi avvicinarti, ma devi anche mettere fuori gioco le bocce degli altri”.
Niente male, proprio niente male.
Forse Luca era riuscito a scovare un talento degno di sostituire Luigino. Silvano sperò che Pietro non sostituisse il suo compianto amico anche in altri ambiti.