Strano vedere uno squalo in uno stagno. Meno strano è l’aspetto perito e sconsolato dello squalo, che si aggira senza tregua come se da qualche parte, persa in quel piccolo regno, potesse trovare una spiegazione valida per la sua triste condizione.
Neppure allo squalo è chiaro il motivo per cui sia ancora vivo: sapeva che il suo fisico fosse adatto agli oceani, o comunque all’acqua salata, non certo a quella pozza di acqua dolce. E poi c’era il problema del cibo, mai sufficiente per il suo corpo. Le rane e i pesciolini lo potevano anche sostentare per un breve periodo, ma non aveva la minima speranza di poter resistere ancora a lungo. I viveri stavano scarseggiando e anche l’ossigeno dell’acqua si era fatto più rado. Lo stagno sembrava essere diventato più denso, tiepido e pesante, come una trappola.
Lo squalo non poteva sperare in qualche aiuto. Per quanto fosse in difficoltà, per quanto fosse disperato, incuteva timore in chi lo vedeva sguazzare irrequieto nella melma. Avrebbero aspettato come semplici spettatori che lo squalo si disintegrasse da solo, sorridendo soddisfatti a vedere un così temibile nemico soffrire e agonizzare.
Era questo, quindi, il destino che spettava allo squalo: accontentarsi di un mondo troppo piccolo, o soccombere a esso.