Grandi cambiamenti si stanno susseguendo, e non è così facile affrontarli. Aggiungetici qualche imprevisto per nulla gradito, ma molto costoso, e avrete la formula perfetta per un umore pessimo. Almeno la prospettiva non è così malvagia come potrebbe sembrare, basta tenere duro, mettercela tutta, e andare avanti.
Ma per procedere è necessario fare un po’ di spazio, lasciar andare la zavorra, come una mongolfiera. Mi sono sempre piaciute le mongolfiere: non ci salirei mai, dato che non mi attrae l’idea di viaggiare in un cesto di vimini sostenuto da una fiamma, ma le ho sempre guardate con la curiosità di una bambina stupefatta. Loro in cielo e io ben piantata per terra.
Tornando a noi, ho dovuto fare spazio, anche fisicamente, e penso che sia solo l’inizio. E per me fare spazio non vuol dire spostare, ma eliminare fisicamente ciò che non mi serve più. Ammetto che si è trattato di una grande fatica, molto simile a un lutto. In primo luogo perché ho eliminato le tracce della mia fatica. Anni di lavoro, che poi si è rivelato nella pratica inutile, stralciati in pochi minuti, in appena una mattina.
Davanti ai cumuli di quella che era diventata mera cianfrusaglia, mi sono sentita persa: tutto quella fatica per diventare cosa? Solo un grande insieme di carta e qualche mucchietto di plastica. E in quella collinetta c’erano ore di studio e di impegno, che ora giacevano scomposti a terra.
Ma è bastato buttare tutto nei bidoni per sentirmi alleggerita. Lo sconforto iniziale è mutato diventando sollievo e un po’ eccitazione per ciò che quegli scaffali avrebbero custodito da ora in poi.