Ci sono momenti in cui l’aria sembra essere più densa, quasi viscosa: i bronchi si dilatano, si annaspa alla ricerca di ossigeno, nel tentativo di liberarsi da una sensazione di oppressione e di soffocamento.
Aria lo sapeva bene. Quello che non sapeva era perché l’avessero chiamata in quel modo, come l’elemento più volatile e meno consistente tra tutti. Ma quello era il nome che si ritrovava e bisognava farci i conti. Il problema di Aria, in quel momento, era che aveva proprio bisogno di cambiare aria. Andarsene da quell’anfratto, liberarsi da una situazione che la teneva incatenata a terra. E quella zavorra erano proprio le aspettative che le piovevano da ogni parte, doveri imposti che reclamavano di essere soddisfatti e che lei, ne era certa, non avrebbe potuto mai portare a compimento.
Per questo Aria se ne andò. Svanì in un giorno umido, uno di quelli in cui si fa penetrante l’odore di pioggia e anche respirare sembra essere un’impresa. La sua famiglia disse che non aveva lasciato niente, nessun messaggio, nessun suggerimento di dove fosse andata. Era semplicemente scomparsa.
Aria era scomparsa per inseguire i suoi sogni, per respirare, finalmente, per sentirsi libera leggera come il nome che le avevano donato e che fino a quel momento era un peso strano e senza senso. Si dice persino che sia diventata pilota e che sia volata in ogni angolo del mondo, ma altri sostengono che semplicemente abbia vagato come fanno le nuvole, sospita dai capricci del vento e dai desideri di curiosità, per poi precipitare leggera in qualche angolo del mondo in cui l’aria era conosciuta per la sua leggerezza.